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Numero 3 del 2011

Professione donna


Foto: Professione donna
PAGINA 18

Testi pagina 18

PROFESSIONE DONNA/3

non È PAZIENZA...
ETALENTO...

"Ognuno ‘eimportante, anche le piccole cose
influenzano la bellezza dei luoghi, dai mattoni
fatti bene, all'oggetto fatto a mano, al prodotto
del territorio"

di Elena Ribet

ioretta Bacci ha 58 anni e fa l’artigiana a Siena. Con il

suo telaio a pedali compone tessuti, giacche, sciarpe,

cappelli. La sua bottega, Variazioni su tela, sopravvi-
ve grazie a un’esperienza trentennale. Fioretta non si è mai
voluta sposare e si è sempre mantenuta da sola.

Cosa significa essere un'artiqiana in Italia oqqi?

La mia arte è questa: l’arte di arrangiarsi di chi si deve in-
ventare un lavoro. Ho recuperato un’arte cosiddetta ‘po—
vera’, la tessitura a mano sul telaio, un’arte antica in gra-
do di creare pezzi unici per bellezza e originalità. Ma non
basta un lavoro fatto a mano per campare. Ci va qualco—
sa di più. L’istinto, sì, ma anche sapere dove si vuole an-
dare, la pratica, lo studio, la personalità, la manualità.
Le difficoltà del mio lavoro sono, credo, le stesse di tan—
te altre singole persone che hanno la partita IVA, oppu-
re contratti a progetto, in- ,
somma apparteniamo alla
stessa categoria, quella del
precariato. Noi non ci pos-
siamo ammalare, non pos—
siamo rimanere incinte, non
possiamo permetterci delle
difficoltà momentanee, per—
ché manca la solidarietà da parte delle amministrazioni.
Come me, ci sono tante donne che non chiedono niente
a nessuno, né a un uomo né allo stato, ma anzi contri—
buiscono con il loro lavoro alla crescita del Paese e alla
salvaguardia di mestieri in via di estinzione. Queste don-
ne potrebbero fare anche di più se fosse data loro la pos—
sibilità; per la loro volonta meriterebbero un’attenzione
particolare. Noi donne, i0, come tante altre amiche, in que-

noidonne | marzo | 2011





sto periodo di difficol-
Ì tà economica dobbia-

. mo attivare tanti Ta-
lenti. Dobbiamo essere
originali, attente. Dob-
biamo essere manager,
artiste, ragioniere, sen-
za alcun aiuto esterno.
Ognuno è importante,
anche le piccole cose in—
fluenzano la bellezza dei luoghi, dai mattoni fatti bene,
all’oggetto fatto a mano, al prodotto del territorio. Die-
tro alla mancanza di solidarietà c’è una questione cultu—
rale: non si promuove l’artigianato, non si dà la giusta con-
siderazione alle persone che attraverso il loro lavoro e la
loro inventiva abbelliscono una città.

Quali sono i preqi e i difetti del tuo lavoro, dal punto di vi-
sta economico?

Per me l’indipendenza è fuori discussione, e come me la
pensano anche molte amiche che fanno un lavoro simile.
Le donne che sono “tutelate” da un compagno 0 da un ma—
rito hanno garanzie diverse. Non è che io le invidio, per-
ché sono contenta della mia autodeterminazione, di es-
sermela cavata da sola. Certo, a volte mi dico: forse non han—
no scelto male quelle che si sono sposate, che hanno un
uomo sui cui appoggiarsi. Forse vivono più tranquille. Io
sono cresciuta con un’idea diversa di evoluzione e di au—
tonomia, non mi ha nemmeno sfiorato l’idea di farmi man-
tenere. È una questione di libertà, anche mentale.

Come si potrebbe migliorare la condizione lavorativa del-
le donne in questo settore specifico?

Penso che occorra un riconoscimento sociale vero, una
giustizia sociale, anche in termini di sostegni economici;
questo vuol dire tante cose, non solo per le donne ma per
tutti, per le persone deboli, per quelle che hanno delle dif—
ficoltà, per quelle con dei talenti da mettere a frutto, uo-
mini o donne che siano. Non si tratta di beneficienza, ma
di gestione lungimirante. È proprio nei momenti di dif—
ficoltà che una società dovrebbe essere in grado di farsi
carico delle persone. Noi non siamo una categoria inesi-
stente, lo stesso si può dire per i liberi professionisti, cosi
come per gli artisti. Mi augurerei forme di tutela innovative,
attente, ma per questo occorre partire da una rivalutazione
delle persone, della loro professionalità, di queste capa—
cità che rischiano di scomparire; da questo riconoscimento
dovrebbe nascere un cambiamento virtuoso. Ma tutti do-
vrebbero sentirsi coinvolti: dalle istituzioni alla società nel
suo complesso. L’unicità di certe esperienze professionali
dovrebbe essere tutelata come patrimonio comune]
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