Numero 9 del 2016
Viva la scuola
Testi pagina 33
31Settembre 2016
M
AL
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I
“Quando mi sono ammalata io, lo stato del Malawi segui-
va delle linee guida restrittive per ottenere l’accesso alle
cure, e io non ero considerata idonea a riceverle perché
non avevo ancora sviluppato la tubercolosi, né la
diarrea, né altre infezioni. Nonostante questo
apparente stato di buona salute generale,
io sentivo di non stare bene, e chiedevo di
essere curata. Per farmi accettare ho do-
vuto fare un esame, in un centro a 400 km
da dove vivevo, che attestava che le mie
difese immunitarie erano crollate e avevo
diritto alle cure. Grazie al fondo globale ho
potuto iniziare a prendere le medicine che
da sola non avrei potuto pagare”.
Oltre a fornire le cure, il fondo globale si impegna
nel miglioramento della consapevolezza e della parteci-
pazione delle popolazioni negli Stati in cui interviene, con
programmi dedicati anche alle donne e alla salute materno-
infantile, operando con una logica di gender mainstreaming,
ovvero applicando la prospettiva di genere in tutti gli inter-
venti programmati, favorendo la scolarizzazione delle donne
e la partecipazione della popolazione femminile nei processi
decisionali. “Non è una questione solo di prendere le pastic-
che per curarsi - continua Clara -. Nulla accade senza il no-
L’ITALIA È TRA
I pAESI DEL G7 CHE
HANNO ANNuNCIATO
uNA DONAzIONE AL FONDO
GLOBALE pER IL pROSSIMO
TRIENNIO.
LA CONFERENzA
A SETTEMBRE
IN CANADA
stro coinvolgimento in prima persona. La partecipazione nei
processi di cura e di conoscenza della malattia, attraverso le
iniziative del fondo globale, ci ha permesso come società ci-
vile di fare pressione sul governo perché garantisca
la trasparenza e il monitoraggio dei risultati delle
cure. In Malawi fattori socio-culturali ci pongo-
no, come donne, ancora a un livello ancora
molto basso nella società. E rispetto all’hiv,
abbiamo tre volte di più la possibilità di con-
trarre il virus”.
Come accade in molti altri paesi anche in
Malawi ci sono politiche e leggi che sulla car-
ta garantiscono la gender equality, ma nella
pratica la strada da fare è ancora molta. “Abbia-
mo fatto dei passi avanti, anche grazie alla ex Presi-
dente Joyce Banda e alle donne ministre che hanno fatto
un enorme lavoro. Ci vorranno ancora molto tempo e molta
pazienza per raggiungere una piena gender equality, ma ce
la faremo. La cosa più importante è che le donne acceda-
no all’educazione, perché ancora troppe ragazze non stu-
diano”. L’educazione come chiave dello sviluppo umano e
come protezione da malattie è ancora una volta la strada da
percorrere insieme alla necessità di garantire i finanziamenti
al fondo globale per il prossimo triennio. b
Il ruolo dell’Italia
Non è un caso che proprio a Roma nel 2005 si sia svolta la prima
riunione dei donatori per ricostruire le risorse del Fondo Globale.
Infatti dall’anno di istituzione del fondo, il 2002, al 2008 l’Italia è
stata uno dei principali paesi donatori, con donazioni di oltre
790 milioni di euro, terza dopo Stati Uniti e Francia. Nel periodo
compreso tra il 2009 e il 2013, anni di crisi economica e istitu-
zionale molto forte, la tendenza è però mutata completamente
e l’Italia non ha più mantenuto gli impegni né ha annunciato il
proprio contributo durante la terza conferenza di rifinanziamento.
Nel 2013 è stata nuovamente invertita la rotta e il Governo ha
stanziato 100 milioni di euro per il triennio 2014-2016. Posto che la
salute nel documento di Programmazione Triennale della Coope-
razione italiana 2015-2017 è considerato uno dei settori prioritari
per la promozione dello sviluppo, i promotori del fondo globale
spiegano che per l’Italia investire sul Fondo è un ottimo modo per
finanziare le aree geografiche e tematiche prioritarie per la coo-
perazione italiana. Il Presidente del Consiglio, che aveva annun-
ciato di voler diventare il quarto paese tra quelli del G7 per milioni
di euro donati, ha annunciato una donazione al Fondo Globale
per il prossimo triennio di 130 milioni di euro.
I dati del Fondo Globale
Dal 2002, anno della sua istituzione, il fondo ha salvato 17 milioni
di vite, che al termine dell’anno in corso saranno diventate ben
22 milioni. I finanziamenti sono serviti per somministrare a oltre
8,6 milioni di persone terapie antiretrovirali, fornire cure a oltre 15
milioni di malati di tubercolosi e dotare singoli e famiglie di 600
milioni di zanzariere impregnate di insetticida per combattere la
malaria. La prossima Conferenza di rifinanziamento, che si terrà a
settembre in Canada, sarà dunque decisiva per stabilizzare que-
sti risultati o al contrario, se i fondi dovessero risultare insufficien-
ti, per disperdere questo straordinario capitale di salute globale
costruito in meno di vent’anni. Per il nuovo triennio 2017-2019
servono 134,5 milioni di dollari per combattere le tre epidemie,
il 12% in più delle risorse rispetto al triennio precedente. Se i fondi
infatti rimanessero invariati, le tre epidemie potrebbero tornare a
diffondersi fuori controllo.
Della dotazione complessiva del fondo (oltre 29 miliardi fino al
2015 di cui il 95% di fondi pubblici) il 53% è stato utilizzato per
la lotta all’AIDS, il 28% contro la malaria e il 16% contro la
tubercolosi. Gli interventi, che per il 63% finiscono nell’Africa
sub-sahariana, per il 26% in Asia e per il 6,5% in America Lati-
na, con le quote residue distribuite negli altri continenti, servono
a permettere l’accesso alle cure ma anche a creare sistemi
sanitari sostenibili e resilienti, oltre che a rafforzare i servizi per
le comunità. Un dato molto importante è quello relativo ai paesi
in transizione, che stanno passando da un PIL basso a un PIL
medio e quindi non godono più della quantità di fondi di cui di-
sponevano negli anni precedenti ma hanno ancora grandi neces-
sità in termini di sostegno al sistema sanitario. In questi casi, ad
esempio in Romania, Georgia e Yemen, il fondo ha lanciato dei
nuovi bandi per sovvenzionare la società civile affinché porti
avanti azioni di advocacy e di pressione sui governi locali.
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