Numero 4 del 2014
Poker Doppio. Otto ministre su 16, ma non è democrazia paritaria
Testi pagina 5
3Aprile 2014
NoN chiamatele più
quote rosa
Stiamo parlaNdo
di democrazia
Molta acqua è passata sotto i ponti da quando le chiamavamo quote rosa. Pensavamo che fosse necessario - ma anche sufficiente - chie-dere un po’ di spazio nelle assemblee elettive.
Le chiamavamo quote rosa perché l’idea di maneggiare il
potere ci preoccupava e quindi un 20% ci sembrava ras-
sicurante: potevamo esserci, ma senza eccessiva espo-
sizione. Era insomma la richiesta di una partecipazione
a responsabilità limitata. Abbiamo poi capito che quella
strada non era adeguata rispetto all’ambizione di mettere
in gioco, davvero e fino in fondo, saperi e competenze
per modificare ordini di priorità o prospettive consolidate
e considerate le uniche possibili. Con la scelta del 50e50
- sostenuta dalla lungimirante campagna dell’UDI che nel
2007 ha raccolto 120mila firme per una proposta di legge
di iniziativa popolare - si è affrontato un dialogo alla pari
con la politica: siamo la metà e così dobbiamo pensare la
rappresentanza. L’abbiamo chiamata democrazia parita-
ria, definizione la cui densità ed enormità di significati ha
spazzato via il resto. La condivisione di questa visione non
è ancora sufficientemente ampia, neppure tra le donne.
Ma la strada è aperta e il tempo ci darà ragione perché,
semplicemente, è nel logico fluire delle cose. Intanto la
bocciatura alla Camera dei Deputati degli emendamenti
sulla rappresentanza di genere al testo della nuova legge
elettorale è il simbolo delle resistenze di un sistema para-
lizzato che non sa dare risposte ad una questione politica
che le donne hanno posto alla politica: non è più tollera-
bile per la metà della popolazione delegare all’altra metà
le scelte del presente e del futuro, della qualità della vita
e della salute, degli investimenti e dell’economia. Non è
più tollerabile una democrazia incompiuta. Il fatto è che
le guardie asserragliate nel ‘Palazzo’ non sono canute e
incravattate. Quella che avevamo salutato come una del-
le novità delle ultime elezioni - un Parlamento rigenerato
da un gran numero di giovani e donne - non è riuscita a
sintonizzarsi su modulazioni di frequenza diverse dal pas-
sato. E hanno avuto la meglio le (solite, vecchie) logiche
di cordata o di partito. Certamente non sfugge la peculia-
rità del contesto con i delicati equilibri e contrapposizioni,
dall’accordo Renzi/Berlusconi all’accelerazione del nuovo
governo. Ma non era illusorio sperare che la democrazia
paritaria fosse esclusa dal gioco dei veti incrociati e di
parte. Il capitolo si riapre al Senato e, pare, sarà anche
presto chiuso. Ma questa vicenda - al di là dell’esito finale
- ha già posto un altro grande tema: quello del ruolo delle
elette, del senso del loro stare nelle istituzioni. Combat-
tiamo una battaglia affinché non siano richieste, solo alle
donne, speciali competenze e titoli. Solidarizziamo con
loro se sono giudicate più per le “forme che per le rifor-
me”. Ma ci aspettiamo un operare ‘come donne’ perché
abbiamo investito le nostre energie per aprire la strada a
tante e valide competenze femminili. Appunto: femminili,
non neutre e non maschie. L’istanza del 50e50 è un atto
politico perché è una assunzione di responsabilità recipro-
ca, per chi la chiede e per chi ne fruisce, perché muove
dalla necessità di portare nel sistema un cambio di passo.
Questo è il contratto non scritto che noi donne, prima o
poi, dovremo stipulare.
Tiziana Bartolini