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Numero 4 del 2014

Poker Doppio. Otto ministre su 16, ma non è democrazia paritaria


Foto: Poker Doppio. Otto ministre su 16, ma non è democrazia paritaria
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Testi pagina 9

7Aprile 2014
che il prof. Veronesi si è interrogato sul ruolo del diritto
nelle questioni bioetiche, ovvero se sia opportuno fissare
dei criteri razionali per affrontare i problemi morali e giuri-
dici generati dal progresso stupefacente delle biotecnolo-
gie; pur essendo a favore dell’eutanasia, anche perché in
alcuni casi il ricorso alle cure palliative per alleviare il dolo-
re non funziona, di fronte alla legge sull’eutanasia dei mi-
nori proposta in Belgio, il prof. Veronesi pensa che “non ci
sarebbe bisogno di una legge. Una decisione così dram-
matica non può essere presa che volta per volta, a discre-
zione delle coscienze.” Vale a dire: dal momento che le
norme giuridiche sono sempre regole astratte e generi-
che, lontane dalla realtà e specificità dei casi concreti, il
singolo caso, unico ed irripetibile, va lasciato alla decisio-
ne dei medici, dei genitori e dello stesso paziente, se già
in grado di intendere. Ma qui si entra nel campo minato
delle questioni etiche, delle decisioni personali prese
nell’intimo della coscienza: dove, come dimostra il caso
del’aborto, il diritto, se è rigido e punitivo, finisce per esse-
re ignorato e produce solo clandestinità, laddove un diritto
“mite” (come sempre nei casi di coscienza raccomanda
Zagrebelsky) permette di affrontare i problemi più dram-
matici in un clima solidale, anziché in quello penalizzante
della solitudine. Ma la posizione della Chiesa, anche all’in-
terno di una legislazione rigida e severa sull’eutanasia, ri-
mane ostile a qualsiasi normativa in cui vede il piano incli-
nato che porta alla banalizzazione della morte, alla sua
burocratizzazione: attraverso la documentazione cartacea
e le procedure di rito la morte, come ha denunciato Papa
Francesco, diventa simbolo di quella “cultura dello scarto”
che ha infettato e corrotto la società contemporanea, pri-
vandola del carattere di comunità solidale. Non solo:
nell’eutanasia neonatale c’è anche l’estendersi oltre misu-
ra del potere dei medici, divenuti ormai i veri decisori nel
campo di una medicina specialistica sempre più progredi-
ta, ove le biotecnologie creano dilemmi gravissimi (vedi un
caso già discusso in tribunale: se, dopo aver partorito il
bambino, la donna che ha messo a disposizione il suo ute-
ro rifiuta di consegnarlo alla madre “affittuaria”, a chi va
affidato il neonato?). Dilemmi gravissimi però anche per i
medici, come dimostra il “Protocollo di Groningen” sull’eu-
tanasia neonatale applicato in Olanda su richiesta dei me-
dici che non tolleravano più la responsabilità di tenere in
vita neonati con patologie gravissime, dolorose ed irreso-
lubili; patologie di cui la gente comune non ha la minima
idea, come documenta il dottor Verhagen nel numero
9/2013 di Micromega: “L’impulso a redigere il Protocollo ci
venne al tempo dall’enorme dilemma in merito al migliore
intervento da adottare per una neonata affetta dalla forma
più grave di una malattia cutanea letale chiamata Epider-
molisi bullosa”, (ogni volta che il bimbo viene toccato, la
pelle si stacca provocando ulcere dolorose che, quando
vengono curate, procurano altra sofferenza; anche il tes-
suto che ricopre la bocca e l’esofago viene distrutto men-
tre si procede, per intubazione, a nutrirlo). “I genitori chie-
sero l’eutanasia… Il timore di poter essere perseguiti le-
galmente per omicidio doloso, tuttavia, ci costrinse a rifiu-
tare la richiesta…
Quando ci fu riferito come la bambina era morta tre mesi
dopo, decidemmo di creare un protocollo che ci aiutasse
a stabilire in futuro in quali casi l’eutanasia potesse essere
la scelta appropriata. Inoltre volevamo che il protocollo
contribuisse a disciplinare la pratica dell’eutanasia neona-
tale e renderla più trasparente.” Concludendo: se la ma-
dre di quella infelice bambina ha chiesto l’eutanasia, lo ha
fatto per liberarla da una vita disumana, lo ha fatto perché
una donna non è un utero ambulante ma un essere umano
e, quando custodisce la vita nel suo ventre, spera una
cosa sola: che il figlio nasca sano. Non una madre snatu-
rata dunque ma, come il personaggio di “Amatissima”,
una madre che vede nel prolungamento della vita biologi-
ca del figlio la “morte” della sua dimensione di essere
umano, l’espropriazione di un concetto di vita più alto del
puro processo organicistico ispirato ad un grossolano ma-
terialismo. b


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