Numero 4 del 2014
Poker Doppio. Otto ministre su 16, ma non è democrazia paritaria
Testi pagina 39
33Aprile 2014
S
draiata in maniera poco languida sul divano,
qualche sera fa, ragionavo sul concetto d’indipen-
denza femminile. Sarà che è appena trascorso l’8
marzo, con tutta la liturgia di eventi dedicati, sarà
che almeno una volta al giorno mi sento dire da
amiche e colleghe, tra ammirazione e invidia buona, ‘ma dai,
tu almeno sei sola e indipendente’. Fatto sta che abbruttita
da una giornata di lavoro, arrabbiata perché in tv non c’e-
ra niente, incavolata con me stessa perché per sgonfiarmi
avevo preso una tisana drenante che per ovvi motivi consi-
gliano di bere al mattino e non la sera, riflettevo. Guardavo
il carrellino della tv, che per andare al bagno devo spostare
perché ingombra e mi chiedevo: davvero l’indipendenza è
vivere in una casa ad incastro in cui ci si potrebbe muovere
camminando sulle mensole affisse ai muri perche lo spazio
a ‘terra’ è poco? In cui spendere un botto di affitto per sof-
frire di claustrofobia perché il punto non è come ci si vive,
ma che si riesce a pagarlo da sole? In cui devi ripeterti che se
non c’è il balcone per stendere i panni chi se ne frega, perché
una vera donna, indipendente, non lava e non stira, ma va in
lavanderia? Che se non c’è lo spazio per tenere un minimo di
riserva ‘alimentare’, chi se ne frega, perché una vera donna,
indipendente, va a mangiare fuori? Che se non c’è una pia-
strella libera per ospitare una pianta, e tocca disegnarla sul
vetro della finestra, chi se ne frega, perché una vera donna,
indipendente, non ama così tanto la natura? Il falso mito
dell’indipendenza - cosa ben diversa dall’autonomia - ha
accompagnato la crescita della mia generazione, di quaran-
tenni. Una generazione fortunata, perché dotata della pos-
sibilità di istruirsi e scegliere cosa fare da ‘grandi’. E che si
permette spesso il lusso - non per sua responsabilità, ma per
responsabilità di anni di benessere che ci hanno mostrato
soprattutto il bello dell’esistenza - di non conoscere le lotte
fatte dalla generazione delle nostre nonne e mamme, la cui
vita ‘giusta’ era già stata definita tra assenza di ambizioni
professionali e imposizioni di virtù domestiche. Lotte che
Noi Donne, nei suoi settant’anni di vita, ha sempre seguito e
sostenuto dalle proprie pagine.
E se da ragazzina, per me e le mie amiche, l’indipendenza
non era alfabetizzarmi ma marinare la scuola per ottene-
re il consenso dei ‘maschi’ e da semi adulta era ispirarmi a
Simone de Beauvoir, che disprezzò la sua provenienza bor-
ghese e accettò l’amore libero di Jean Paul Sartre, va detto
che ogni epoca, e soprattutto ogni Paese, ha il suo concetto
di indipendenza. La mia generazione è cresciuta con quel-
lo ingannevole della ‘forza’, intesa come assenza di bisogni,
maternità compresa, in una sorta di brutta emulazione del
modello maschile. Intesa come capacità di vivere senza un
uomo che ci mantenga, e senza figli che ci limitano la car-
riera. Quasi che l’amore, nelle sue declinazioni, fosse un
orpello. Ma con la crisi, economica e di valori, si rischia di
confondere l’indipendenza con una serrata competizione
tra donne e donne e donne e uomini, senza più limiti alla
libertà, al pudore, all’etica.
Con la legittimazione del mors tua vita mea. E d’istinto pen-
so alle ventenni che potrebbero essere mie figlie. E le vedo
fragili, perché hanno tutto e niente. E mi chiedo cosa sia per
loro l’indipendenza. Io sono certa che a loro Santippe direb-
be “ragazze non cercate di essere indipendenti a tutti i costi.
Cercate di essere autonome, di farvi rispettare. Ma non ver-
gognatevi dei vostri bisogni perché non esiste nessuno, ma
proprio nessuno, che non ne ha. Né uomo né donna”.
INDIPENDENTI O AUTONOME?
di Camilla Ghedini