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Numero 4 del 2011

Noi uomini sull'orlo di una crisi


Foto: Noi uomini sull'orlo di una crisi
PAGINA 17

Testi pagina 17

La scorciatoia è sbagliata sempre, anche quando parliamo
di quote rosa. Non bisogna imporre la parità, ma conqui—
starla. A volerlo, basterebbe un attimo.

Esiste secondo te un dover essere per l'uomo di oqqi, co-
stretto ad una certa dose di machismo per esprimere la
propria mascolinità?

Credo che questo dipenda molto dalle stagioni della Vita.
Naturalmente a 44 anni sei un uomo diverso, smetti di fare
di te stesso un simbolo per accontentare le generazioni pre—

Capisci che esistono parametri sbagliati, ma per farlo è ne-
cessario aver conosciuto e sperimentato molto. E bisogna
sapersi adeguare ai tempi che cambiano. Possibile che nel
2011 tutto si sia evoluto tranne il modo di Vivere il rapporto
di coppia? La verità è che ho successo perché ironizzo su
una cosa complicata: il rapporto sentimentale è un lavoro
per il quale non si Viene pagati, non si hanno avanzamenti
di carriera e non si può studiare per prepararsi.

Esistono modelli imposti da una parte e dall’altra, sta a noi
capire che non è più possibile percorrere lo stereotipo e ri—

cedenti o insegnare qualcosa a quelle future.

UN ALTRO
LINGUAGGIO
TRA UOMINI
E DONNE

Uno dei problemi, forse il principale, nel-
l’affrontare la violenza maschile sulle
donne è legato al fatto che i termini - gli
schemi di lettura, le categorie, le parole
stesse - che usiamo sono già espressione
della cultura e delle visioni che supportano
quella stessa violenza.

Il primo esempio, macroscopico, è che nel-
la comunicazione “standard" si continua
a parlare di “violenza sulle donne", met-
tendo l'accento sulla vittima, e non di “vio-
lenza maschile" o di “violenza maschile
sulle donne”, che sottolineerebbe invece
l'autore e la responsabilità maschile. Tale
rimozione nel linguaggio permette o sup-
porta altre rimozioni. Per esempio siamo
abituati a leggere sui giornali o a sentire
in televisione espressioni quali “un sici-
liano” oppure “un maghrebino” o “un ru-
meno" ha commesso una certa violenza
su una donna. Così si mette l'accento su
un fatto secondario e si sottrae all'atten-
zione il dato più comune ma anche più ri-
levante, ovvero che si tratta di maschi.
L’insistenza sulla vittima che lascia sullo
sfondo l'autore, permette inconsapevol-
mente di “demonizzare" o “disumaniz-
zare" il carnefice anziché farci realmen-
te i conti. Permette inoltre di non inter-
rogarsi sulle dinamiche sociali e relazio-
nali che invischiano insieme carnefice e
vittima, rendendo difficile sottrarsi a una
relazione patologica tanto a chi la subisce,
tanto a chi tale violenza l’agisce magari
proprio con l'idea di mantenerla in quel
modo legata a sé. In altre parole ìl lin-

baltare le cose. I

guaggio che usiamo attualmente per
parlare della violenza ci preclude la pos-
sibilità di porre l’attenzione e di mettere
a fuoco il tema delle relazioni. Delle for-
me della relazione affettiva, di coppia, fa-
migliare, ma anche delle relazioni di lavoro,
delle relazioni politiche.

Nei pochi casi in cui nella comunicazione
sociale ci si rivolge agli uomini, si finisce
per confermare degli stereotipi. “Gli uo-
mini picchiano le donne" sentenziava il
manifesto di un partito di sinistra, con una
generalizzazione che rischia paradossal-
mente di “naturalizzare” la violenza ma-
schile e di impedire invece di domandar-
si criticamente perché alcuni (molti) uo-
mini sono violenti e (molti) altri no. O per
fare un esempio diverso, dire “l veri uomini
non picchiano" non significa inconsape-
volmente confermare l’esistenza di una ca-
tegoria di “veri uomini" anziché aiutare gli
uomini a rivendicare la loro soggettività
e la loro responsabilità?

Dichiararsi contro la violenza sulle donne
non significa essere a favore della liber-
tà o dell'autonomia delle donne. Ci sono
commentatori e forze politiche che si sca-
gliano contro la violenza sulle donne
proponendo “punizioni esemplari” o ron-
de per proteggere le donne”. In questo
modo sdoganano una “violenza buona" in
opposizione a quella “cattiva" e impedi-
scono di comprendere la connessione sim-
bolica tra l'affermazione virile sulle don-
ne e quella della loro “protezione", poiché
entrambe le posture risparmiano agli
uomini di mettersi di fronte a una donna
disarmati e sullo stesso piano.

Noi non parliamo semplicemente della vio-
lenza. Piuttosto siamo parlati dal lin-
guaggio della violenza. E mentre matu-
riamo come uomini e nelle nostre relazioni
dobbiamo maturare nel nostro linguaggio,
nel nostro modo di pronunciare il mondo
e le relazioni. Un linguaggio magari che ci

aiuti a nominare e a dialogare con le no-
stre emozioni, i nostri desideri, i nostri bl-
sogni. Con le nostre paure e fragilità di
fronte alle esperienze di unione e di ab-
bandono, di fiducia o di tradimento nella
loro intrinseca apertura e ambivalenza.

Marco Deriu, Maschile Plurale

UN CONFLITTO (DAVVERO)
ALLA PARI

“...è necessario aprire nelle nostre scuole ma anche
nelle nostre città, nei luoghi collettivi di partecipa-
zione, un grande conflitto per una diversa qualità del-
le relazioni tra donne e uomini", così Stefano Ciccone,
presidente dell'associazione e rete nazionale Maschile
Plurale, in un passaggio del suo libro 'Essere maschi.
Tra potere e libertà’ (2009). I| volume è frutto di un
percorso di riflessioni e dibattiti di anni impiegati dal-
l'autore alla ricerca di “differenti risposte per apri-
re, innanzitutto a noi uomini, spazi impensati di li-
bertà e di espressione, di critica di modelli culturali
consolidati". Ciccone si interroga sulle radici che ali-
mentano la violenza degli uomini sulle donne, p0-
lemizza contro il vittimismo maschile il ‘politicamente
corretto’ e coglie il pro-
, tagonismo femminile
i come una sfida per su-
perare gli stereotipi che
ingabbiano gli uomini
in ruoli e posizioni 0b-
bligati e non più ri-
spondenti ai loro desi-
deri e bisogni.

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Stefano Ciccone

Essere maschi

Tra potere e libertà

Ed Rosenberg & Sellier, pagg 252, Euro 18,00
*Presidente Maschi/e Plurale

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noidonne | aprile | 2011 E
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