Numero 3 del 2016
L'8 marzo allo specchio, interviste a Maraini, Nicolini, Urbinati
Testi pagina 10
Parliamo di o
8 l NOIDONNE
Marzo 2016
î i chiamo Maria e la mia
è la storia di una donna,
un medico veterinario li—
bero professionista, che si e di colpo
trovata ad affrontare la difficile posi—
zione di lavoratrice in “attesa". Perdo—
natemi se preferisco mantenere l'ano-
nimato, ma la dura battaglia che mi ha
visto protagonista ha lasciato segni in-
delebili, che ancora fatico a cancellare.
Tutto ha inizio quando, con incarico
di Specialista ambulatoriale a tempo
determinato, vengo a conoscenza
del lieto evento che di lì a nove mesi
mi avrebbe reso madre.
In seguito a regolare controllo gine-
cologico, dal quale si evinceva il mio
ottimo stato di salute, informai il mio
datore di lavoro allegando copia del
referto, nel quale si faceva esplicita
richiesta, considerato lo stato gravidi—
co, al cambio di mansione.
BIoetzca
MATERNITÀ E LAVORO
Una battaglia vinta. Nel nome del diritto
La testimonianza presentata nel corso del Convegno organizzato
dalla Commissione Pari Opportunità dell’Ordine dei Medici veterinari
della Provincia di Salerno sul tema Maternità e paternità alla luce delle nuove
prospettive legislative (Salerno 5 ottobre 2015)
Tutto mi sembrava estremamente
semplice e naturale, io non ero “ma-
lataâ€, dovevo semplicemente evitare
che con il mio lavoro potessi mette-
re a rischio la vita della creatura che
portavo in grembo.
Altrettanto semplicemente mi aspetta—
vo che, in risposta alla mia richiesta, ci
si sedesse per discutere su cosa, dove e
quando avrei potuto e dovuto fare per
continuare a lavorare serenamente.
D’altro canto ero completamente a
digiuno in materia di diritti associati
alla maternità .
Di una cosa però ero certa: dovevo
tutelare la mia salute, la nostra salute,
perché le mie competenze ï¬no ad al-
lora, avevano previsto ingressi in stalla,
visite e prelievi di sangue per la proï¬-
lassi di malattie infettive quali tuberco-
losi, Ieucosi, brucellosi e così via.
Fino a quel momento, infatti, non
mi ero mai sottratta al lavoro che mi
competeva. Ad un mese dalla mia ri-
chiesta scritta, mi venne comunicato
che nulla poteva essere accolto, in
quanto le norme relative al mio tipo di
contratto non prevedevano iI cambio
di mansione per Io ‘specialista’.
In particolare, si sarebbe dovuto ap-
plicare l’art. 37, comma 6, dell’Ac-
cordo Collettivo Nazionale vigente, iI
quale recita “...per gli specialisti am-
bulatoriali e i professionisti, incaricati
a tempo determinato, nei casi di cer-
tificata malattia, nei casi di astensione
obbligatoria per gravidanza e puerpe-
rio, I’Azienda conserva l’incarico per
un massimo di sei mesi senza diritto
ad alcun compensoâ€.
Questa vicenda diventava per me ogni
giorno più complicata, ma soprattut-
to emotivamente difï¬cile da gestire.
Ero arrivata al quinto mese di gesta-
zione, ma alla gioia di sapere che tutto
procedeva per il verso giusto, si ag-
giungeva I’amarezza dei conflitti e delle
discriminazioni sul posto di lavoro.
La voce si era diffusa e cominciava a
venir fuori anche una immotivata osti-
lità dei colleghi, i quali mi accusavano
di non aver voglia di lavorare, piutto—
sto che comprendere che si trattava
dell'esatto opposto.
La mia voglia di lavorare era tale e
tanta che non volevo ï¬ngere una gra-
vidanza a rischio: io non ero malata,
ero in attesa, e tutto procedeva per
il meglio. Avevo solo bisogno di fare un
lavoro meno rischioso, dal punto di vista
fisico e del contagio microbiologico.
Sono stati mesi durissimi, più e più volte
sono stata tentata di rinunciare a com-
battere, di tornarmene a casa, perdente.
Ma paradossalmente, più il clima lavo-
rativo si faceva freddo ed ostile, più mi
sentivo aggredita, umiliata e screditata,
più la mia voglia di riscatto cresceva,
nella più totale consapevolezza che ciò
che stavo facendo era “giusto".
Non sapevo, all’epoca, che la mia
battaglia, prima ed unica nel suo