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Numero 1 del 2014

DemoBoom, vivere un pianeta affollato


Foto: DemoBoom, vivere un pianeta affollato
PAGINA 39

Testi pagina 39

33Gennaio 2014
TU
NI
SI
A
Un’escalation di violenza in parte prevedibile per l’estrema libertà
di cui beneficiano elementi jihadisti. È il terrorismo l’arma con cui
frange vicine al partito di governo, Ennadha, tengono in scacco
il Paese. Da Sfax a Tunisi. Da Sousse a Monastir. Passando per
università e moschee. L’incubo della sicurezza si è fatto percettibile
bloccando politica e pensiero. Per rendere quotidiana l’insostenibile
guerra tra Stato laico o islamista. I movimenti jihadisti che negli
ultimi mesi hanno alzato il tiro fino a importare sistemi terroristici mai
utilizzati prima ne sono prova. Gli attentati kamikaze di fine ottobre
rappresentano un salto di qualità dai risvolti ancora da decifrare. Lo
stato d’allerta proclamato nel governato di Kef il 30 novembre scorso
è la cifra di un malessere profondo. La Tunisia appare oggi un paese
al collasso. Straziato. E l’analisi politica non può prescindere da
quella culturale.
Ne parliamo con Silvia Finzi, docente alla Manouba, l’Universi-
tà di Tunisi, da due anni teatro di scontri tra studenti salafiti e
laici. Come mai proprio adesso tutti questi attacchi terroristici?
Ogni volta che c’è una crisi politica la risposta è un atto terroristico.
Stiamo vivendo un problema di legittimità e gli spazi democratici
si assottigliano. L’attuale maggioranza vuole durare. Nonostante
il suo mandato sia scaduto da un anno. L’ANC doveva scrivere la
Costituzione e poi indire elezioni politiche. Invece hanno bloccato
tutto. I partiti non vogliono perdere le posizioni di potere acquisite.
E così non si va da nessuna parte.
Il Governo di coalizione - Ennahdha, CPR e Ettakatol - era
nato sulla base di una piattaforma comune e sul valore con-
diviso della laicità dello Stato, non è più così?
No. Oggi parlare di laicità è diventato un tabù. Viene percepito
come un sentimento anti-musulmano. C’è una grande confusione
perché si crede che la laicità sia sinonimo di un atteggiamento
contrario alla religione. E siccome la popolazione è credente e
musulmana pensa che la laicità sia una minaccia alle proprie tra-
dizioni. Ovviamente non è così. Lo Stato laico rappresenta una
salvaguardia. E permette a tutti di esistere con la stessa libertà
e la stessa dignità. È su questi presupposti che si è compiuta la
Rivoluzione.
Da mesi l’università di Tunisi è teatro di scontri tra studenti.
Si parla continuamente di velo e Niqab. È realmente questa
la posta in gioco?
Oggi alla Manouba si pensa al Niqab mentre si dovrebbe discu-
tere di riforme. Riforma dell’insegnamento e dell’Università. Gli
studenti dovrebbero pensare agli alloggi, alla didattica, ai labo-
ratori. All’indomani della Rivoluzione erano questi i temi del di-
battito. Non basta aprire Università, bisogna anche che le lauree
abbiano valore. Che siano competitive. Invece il livello è sceso
vertiginosamente e in questo modo produciamo disoccupati.
Che tipo di riflessione comporta l’ingresso dei salafiti all’università?
Dietro la violenza dei salafiti c’è un progetto di società. Viene
criticato il modello occidentale soprattutto in funzione anti-fran-
cese. Oggi gli islamisti combattono la francofonia e preferisco-
no il modello anglofono. All’interno del quale ciascuno adotta le
proprie regole e tradizioni. Il vero problema è il pluriculturalismo
in cui ognuno vive sepa-
rato dagli altri seguendo
i propri canoni. Indui-
sti, musulmani, cattolici.
Così creiamo una serie
di ghetti. Io credo invece
che ciascuno debba mol-
tiplicare all’interno di sé
stesso i vari input. In una
dimensione universale e
non particolaristica. Non
voglio rivendicare la mia
identità apostolica roma-
na, buddista o salafita ma
voglio partecipare insie-
me agli altri alla costruzio-
ne di uno spazio comune in cui il dogmatismo culturale venga
abolito. In questo senso rivendico una identità pluriculturale.
Il problema è che l’Islamismo radicale non è democratico. Gli
studenti però sembrano più coinvolti nella questione formale:
indossare o meno il velo. È questo l’oggetto dello scontro?
Accettare il Niqab significherebbe ammettere una serie di altre pra-
tiche. Significherebbe apharteid, separazione tra sessi, tra profes-
sori e tra allievi. Il Niqab non è una scelta personale. È una scelta
collettiva e politica. Nessuno ha il diritto di imporre questo all’uni-
versità. Eppoi come posso insegnare senza vedere l’espressioni
di un viso. Il movimento
del corpo. Come posso
capire se la mia lezione
interessa o se devo mo-
dificare qualcosa del mio
discorso. Insegnare è
soprattutto scambio, em-
patia. Cosa posso scam-
biare davanti a un velo
nero. Significa che c’è qualcosa che non si può vedere. Qualcosa
che non si può dire. Significa che c’è una censura. E come posso
trasmettere gli strumenti critici del sapere se c’è una censura…
Che ruolo ha la censura?
La censura ha un ruolo dominante. Come in tutte le dittature e in
tutte le democrazie contemporanee. Conosciamo solo quello che
ci vogliono far sapere. La manipolazione dell’informazione è una
costante a cui è difficile sottrarsi. La censura traveste i concetti
politici in concetti identitari. Noi abbiamo fatto una Rivoluzione in
Tunisia. Oggi mi domando se l’abbiamo fatta per liberare le men-
ti dalla censura o per affermarne un’altra.b
la rivoluzione
Bloccata
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