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Numero 1 del 2014

DemoBoom, vivere un pianeta affollato


Foto: DemoBoom, vivere un pianeta affollato
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Testi pagina 7

5Gennaio 2014
all’ 88,4 % e se la RU 486 costa odissee ai richiedenti, lo
Stato non può accreditare la doppia morale dicendo che
gli aborti delle minorenni italiane sono il 6,4 (come mai
le inglesi sono il 20?). Con l’incasinamento politico persi-
stente non sarà facilissimo.
Ma bisogna farcela a tutti i costi. Brave quelle che si sono
inventate lo sciopero simbolico contro la violenza e hanno
dato una mano perfi no ai metalmeccanici che, con l’aria
che tira, non troveranno sempre masse di lavoratori di-
sposti a perdere un giorno di paga per andare in corteo.
La crisi si fa più dura, ma le crisi rappresentano la ge-
stazione delle trasformazioni di sistema: se il lavoro non
sarà più quello di prima, non possiamo prendercela con i
robot che sostituiscono l’operaio. Si potrebbe immaginare
un aggiustamento graduale che sostituisse la produzione
di merci con la produzione di servizi, spostando la fi nalità
del sistema dal mercato al benessere umano. Le donne
che hanno studiato l’inserimento della riproduzione e del-
la “cura” nel Pil sarebbero già pronte.
Peccato che le crisi non facciano bene nemmeno alla
psiche e la gente si deprima. Non è tempo di lotte uni-
tarie e di proposte innovative: c’è frammentazione e le
idee, nuove o anche vecchie, circolano poco. Torna a
correre la voce che anche nei nostri gruppi “quando ci
mettiamo, siamo peggiori degli uomini”. Nemmeno qui
c’entrano i cromosomi: è la miseria storica. Non esistono
“mecenate” né lobbies e ci va peggio di quando tra le
femministe dell’Ottocento c’erano le nobili e le borghesi
dei grandi patrimoni.
In altri paesi la condizione femminile è certamente
peggiore della nostra e nessuna ama il peso più grave
della sofferenza: la cosa più “nostra” del 2013 resta il
discorso alle Nazioni Unite di Malala Yousaftzai: “io non
sono contro nessuno. Né sono qui a parlare in termini
di vendetta personale contro i Talebani o qualsiasi altro
gruppo di terroristi. Sono qui a parlare per il diritto all’i-
struzione di tutti i bambini. Voglio l’istruzione per i fi gli
e le fi glie di tutti gli estremisti, soprattutto dei Taleba-
ni”. Allora, “serenamente”, prendiamo atto che saremo
sole, come sempre; ma, almeno, non facciamoci del
male: se arretriamo noi, ci sarebbero danni maggiori
alle altre più lontane. Quindi ancora sole, ma “diversa-
mente unite”, non omologate e non complici. Libere?
come Nelson Mandela che in ventisei anni di carcere
(Malala lo sapeva già perché è donna) arrivò a capire
che gli esseri umani non cambiano il mondo se si fanno
forti con la violenza. ?
IDEE
di Catia Iori
Una giornalista  interessata al problema del linguaggio sessi-sta, mi diceva che dopo tante resistenze, la parola femmi-nicidio  era stata finalmente adottata dalla stampa e dalla
televisione. E questo è vero. L’hanno adottata ma come un cattivo
genitore che poi ne abusa. 
La parola “femminicidio” è spesso svuotata del suo signifi cato origi-
nario e utilizzata a sproposito nelle notizie di cronaca che sciorinano
i soliti vecchi cliché sulla violenza alle donne. Quelli che potevamo
leggere sui giornali dell’Italia degli anni ’50, e che continuiamo a
leggere o ad ascoltare ancora oggi. Nei giorni scorsi l’immagina-
rio sessista della stampa ha trasformato una vicenda di uomini che
avevano abusato sessualmente di ragazze minorenni, prostituite da
adulti senza scrupoli, in una storia di “clienti adescati da lolite pec-
caminose e assetate di denaro e cocaina”.
Io stessa ho assistito negli uffi ci di un noto studio legale a Roma a
un atto di violenza fi sica ai danni di una consulente ignara di trovarsi
tra colleghi mentalmente violenti solo perché “adottata professional-
mente” dal cosiddetto dominus insofferente ad alcuni suoi intelligen-
ti appunti di buona qualità della pratica legale.
La poverina è stata strattonata e fatta cadere per terra al solo scopo
di umiliarla e di farle capire con le cattive maniere che la critica non
era ammessa men che meno da lei, neolaureata e programmata per
un lavoro di puro e semplice contorno dottrinale. Sapete come si è
defi nita quella inutile reazione? Una normale litigiosità professionale
che aveva acceso un capo troppo teso e sotto pressione. Il fenome-
no della violenza contro le donne è già scomparso nella sua buona
sostanza romanzato come il “tragico destino di una storia di routine
e ingenuità di ruolo”. Un po’ di solletico al voyeurismo del dolore al-
trui, un invito a illazioni per la differenza di età tra aggressore e vitti-
ma e il noir è servito al pubblico, ma non la consapevolezza del pro-
blema della violenza contro le donne nelle relazioni di lavoro e nelle
quotidiane storie. Non si può raccontare l’uccisione di una donna
come l’atto di un uomo innamoratissimo e tranquillo, e nascondere
con la parola “lite” una relazione costruita con molta probabilità sul
controllo e sulle pressioni psicologiche. Il “femminicidio” (parola che
detesto e che smetto di usare alla fi ne di questo mio scritto) non
avviene come un fulmine a ciel sereno in una relazione di affetto e
amore, ma è sempre l’atto estremo e fi nale di giorni, mesi ed anni
di maltrattamenti. L’informazione corretta deve spiegare, chiarire,
ripetere che il controllo e il senso di possesso non sono componenti
dell’amore, l’amore è fatto di altro. Altrimenti come si può sensibiliz-
zare e insegnare a riconoscere la violenza? Un ultimo appunto per le
amiche donne: non avete mai chiesto a voi stesse cos’è che volete
o che stimate giusto? Siate indipendenti nel pensare o nel sentire,
nell’assumervi la responsabilità di Voi stesse, nel dimostrare più in-
teresse alla vostra natura più autentica. Questo si chiama lottare
per la propria vera autorealizzazione, alimentando meno timori ver-
so giudizi altrui, trovandosi meno asservite alle comuni aspettative,
imparando a dire più no all’altro e più si a se stesse. Donne più libere
e vitali sono più spontanee, meno pressate dai doveri e dai sensi di
colpa. E non è ciò a cui tutte aspiriamo?
LA PAroLA
FEmminiciDio
mi DiSGUSTA


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