Numero 1 del 2014
DemoBoom, vivere un pianeta affollato
Testi pagina 10
8 Gennaio 2014
L’arte è una vera e propria, tra-scurata, terapia dello spirito: mette davanti alla pagina bian-
ca, alle dimensioni di una tela, impo-
ne scelte metodiche, abbozzi di luci
ed ombre - ed è già entrata in gioco
e non illusione: anche questi piccoli
passi chiedono la guida al fi ne che
vale da indirizzo.
Adottare il modo della conoscenza
estetica vuol dire fare come un pit-
tore; conoscere quel che è vicino,
cambiarlo per farlo più rispondente
all’ottimo, alla luce, modifi care il pas-
so per svelare l’ineffabile sempre di
più: in una sola parola: mettersi in for-
ma nel mettere in forma. È il metodo
che s’impara nelle convalescenze, il
gioco del dolore che piano piano gui-
da a recuperare le forze insegnando
la volontà di volere: le malattie del-
la mente sono più insidiose, meno
esplicite - ma rispondono anche me-
glio alla terapia metodica dell’arte.
D’altronde non a caso il termine ‘arte’
ha tanti signifi cati.
Perché è il processo che trasforma il
labirinto dell’ansia in un maze: non è
una parola che tutti conoscono, indi-
ca il labirinto erboso o in muratura dei
giardini, mentre anche gli inglesi de-
fi niscono quello di Minosse
un labirynth. Giusto dare
un doppio nome, per-
ché Minosse lo costruì
per perdersi, men-
tre chi realizza un
maze costruisce
un gioco che fa
girare in tondo per
sperimentare senza
pericolo. Si sperimenta
com’è facile confondersi,
se non si sanno guardare
le cose dall’alto, o almeno da un al-
tro punto di vista: il maze è fatto per
ritrovarsi. Il bosco della Baba Jagà
è stregato, ma Gretel e Pollicino ne
escono, basta vincere paura e pigri-
zia, rischiare, creare lo spazio fi nzio-
nale della speranza, il mondo futuro
come utopia possibile.
Il secolo che abbiamo alle spalle più
che utopie ha costruito distopie, e le
ha anche realizzate: si pensi ad Al-
dous Huxley ed al suo classico Brave
new world - Brave, ricordo, vuol dire
selvaggio. Ebbene, il mondo d’oggi
gli somiglia, con interessanti varianti
che centrano punti focali del nostro
orizzonte. L’ipotesi di Huxley riguar-
da in sé proprio l’oggetto diretto del-
la bioetica - la possibilità di agire sul
DNA consente nel racconto la crea-
zione della società del benessere;
ogni cittadino grazie alla programma-
zione genetica, a ben regolate sug-
gestioni subliminali, a giuste
misure di droga, di vivere
felicemente sempre,
biologicamente e so-
cialmente program-
mato per un certo
tipo di vita. Uomini
costruiti già alla
nascita di prima, se-
conda e terza scelta
realizzano infi ne l’ordine
sociale e la fi ne della vio-
lenza: la felicità risulta dalla
rinuncia alla libertà e accettazione
del condizionamento.
Se si toglie la conquista biologica,
l’oggetto del contendere fondamen-
tale della bioetica, si vede bene che
il nuovo mondo selvaggio è lo stesso
di tante altre distopie già realizzate:
Michele Serra ne ha appena dato
una defi nizione dedicando il titolo del
suo ultimo libro agli sdraiati, gli uomi-
ni d’oggi che in misura più e meno
Clementina Gily Reda*
Istituto Italiano di Bioetica
www.istitutobioetica.org
IL SECOLO
CHE ABBIAMO
ALLE SPALLE PIÙ
CHE UTOPIE HA
COSTRUITO DISTOPIE,
E LE HA ANCHE
REALIZZATE
L’ARTE,
MEDICINA
DELLA MENTE