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Numero 7 del 2006

Violenza: in bocca al lupo


Foto: Violenza: in bocca al lupo
PAGINA 15

Testi pagina 15

noidonne luglio - agosto 2006 15
Gli uomini delle botte li abbiamo conosciuti nella loro real-
tà fenomenologica ed esistenziale, quando il secolo scorso
viveva i suoi ultimi, affannati decenni. E' successo perché la
diga del silenzio femminile, che aveva retto per secoli è sal-
tata e il dolore e le offese che si sopportavano in famiglia
sono state rivelate a un Paese allibito. Gli uomini picchia-
vano le mogli e i figli - a volte anche le madri - per i moti-
vi più diversi e più futili o addirittura senza motivo, con-
tando sulla forza bruta dei loro muscoli. Le donne raccon-
tavano alle associazioni femminili, alle sedi legali, ai telefo-
ni contro la violenza, a tutte le strutture che si erano date.
Storie tragicamente uguali e senza alibi per il colpevole: il
popolo delle botte viveva al nord e al sud, aveva fatto solo
le elementari o era laureato, disoccupato o direttore di
banca, professore o magistrato.
Con il nuovo secolo pare che la violenza contro le donne
abbia oltrepassato ogni limite immaginabile: si è registrata
un'impennata di crudeltà nel mondo del crimine. Dalle
botte al delitto, dal delitto al delitto con sfregio: questa
pare essere molto spesso il percorso di un violento, a quan-
to si apprende dalla cronaca nera. Aumentano "gli uomini
di coltello". Accanto ai "delitti d'impeto" che concludono
spesso un furibonda lite con un cuscino sulla bocca della
vittima, una corda intorno al collo o un annegamento, ecco
la macelleria dello sgozzamento, delle decine di ferite da
cui sgorga sangue e così fino alla sepoltura quando la per-
sona colpita, il più delle volte è un donna , respira ancora.
Chi compie lo scempio sa che vuole infierire due volte, su
un corpo umano da vivo e da morto. E che vuole essere
vicino a chi muore, imbrattato dello stesso sangue. Troppo
fredda e distante la pistola, troppo anonima e poco doloro-
sa ogni altra forma di delitto. E poi bisogna organizzarsi
bene per riuscire nell'impresa di assassinare così cruenta-
mente qualcuno e far sparire il cadavere, magari dopo aver-
lo orrendamente decapitato. Ci vuole il coltello con la lama
della lunghezza adatta, i sacchetti di plastica, un bosco
vicino. Donne, negozianti come la gioielliera di Terracina,
ragazzine che tornano da scuola, prostitute.
Per quei maschi che non sembrano ancora civilizzati, che
alzano le mani contro le donne, che le stuprano e talvolta
le uccidono, gli esperti parlano di molte cause sociali, poli-
tiche e psicologiche, a volte fuse insieme. Ma, dicono, è
soprattutto la mutata personalità della donna, la conquista
di leggi innovative, la sua sicurezza di non essere nata con
meno diritti di un uomo, la possibilità di gestire la sua fer-
tilità e di rinunciare a una famiglia in cui non è felice, che
fa crollare le sicurezze maschili basate sul fatto quasi divi-
no di essere uomo.
Forse è arrivato il momento di chiedersi: "Allora che si fa"?
Non toccherà ancora una volta a noi donne, discutendo,
prendendo iniziative o inventando coinvolgimenti nuovi,
fare richieste e pretendere risposte da chi ha a cuore l'edu-
cazione delle nuove generazioni, e farlo così bene come
abbiamo fatto nel passato?
Uomini di coltello
Giuliana Dal Pozzo
Guttuso, Teschio e cravatte (1979)
Il libro
Scavare nel profondo
Luigina, Simona, Anna, Aurora, Barbara raccontano il come e il quando. Ci fanno 'accomoda-
re' direttamente dentro le loro ferite. E' raro trovare dei testi che in modo armonico, con stile puli-
to e al tempo stesso con un vigore intenso aprano squarci nelle tenebre. Daniela Lucatti, psico-
teuta e sessuologa, nel suo ultimo libro "Storie di una storia sola" (ed Magi, pagg 129, Euro
10,00) ci riesce, scegliendo di condurci attraverso la narrazione nelle vite di alcune donne che
hanno subito violenze fisiche o psichiche e che ha incontrato nel suo percorso lavorativo. I rac-
conti, in prima persona, di esperienze terribili e devastanti sono offerti nella loro drammaticità
evitando un freddo approccio scientifico perché "è attraverso la trasmissione delle emozioni e dei
sentimenti sono convinta possa iniziare un reale processo penetrativo e quindi conoscitivo dei
meccanismi psicologici". L'autrice si occupa da anni del fenomeno, considerato "una forma di
violenza minore", e osserva che "il substrato teorico, pur essendo una condizione sine qua non,
non è assolutamente sufficiente" a comprenderne le radici più profonde. "Gli incontri davvero
mutativi, sotto qualsiasi forma si presentino, passano attraverso altre strade". In quasi tutte le
storie vi è la figura di una madre, assente o talvolta complice dell'uomo abusante. "Una madre non madre" che non riesce a
svolgere il suo ruolo, forse vittima lei stessa in precedenza. "Il vissuto tra madre e figlia" è uno dei nodi centrali che Daniela
intende affrontare perché "è insperabile qualsiasi evoluzione positiva senza prima trattare questo aspetto". (N. A.)


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