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Numero 6 del 2014

Cultura e futuro, Addio


Foto: Cultura e futuro, Addio
PAGINA 49

Testi pagina 49

43Giugno 2014
Come hai scelto i luoghi del film (Irlanda, Puglia e Alto
Adige)?
La storia nasce in Puglia, dove ci sono ricordi personali, ele-
menti della superstizione e paesaggio che hanno dato origi-
ne al racconto. A cominciare dalla Controra, questo momen-
to della giornata, da mezzogiorno alla cinque del pomeriggio
circa, in cui la gente del sud ha (soprattutto in estate) l’abitu-
dine di chiudersi in casa. I paesi sono deserti, non vola più
una mosca. Tanto tempo fa, nel mondo mediterraneo, si di-
ceva che era l’ora dei demoni meridiani, i fantasmi che veni-
vano di giorno a tormentare i vivi. Mia nonna mi raccontava di
queste storie. E i fantasmi avevano la forma dell’ombra. L’Alto
Adige l’ho scelto perché in Italia avevo bisogno di un luogo a
forte contrasto con la Puglia, sia dal punto di vista paesaggi-
stico che culturale- linguistico: dal bianco abbagliante delle
architetture romaniche al verde dei prati e ai colori pastello e
riposanti del Tirolo. L’Irlanda è il paese più lontano geografi-
camente ed irlandese è la nazionalità della protagonista del
film: pelle bianchissima, soffre il sole. Mi serviva un perso-
naggio che venisse da lontano, anche questa volta in forte
contrasto con la Puglia, allo stesso tempo ci sono vicinanze
culturali che rendono Megan capace di “capire” il Sud. Mi
riferisco alla religione cattolica in cui sopravvivono elementi
superstiziosi di un passato pre-cristiano.
Credi che le donne registe abbiano maggiori problemi ad
affermarsi nel mondo del cinema (e dello spettacolo in
genere)?
Premesso che come in molti altri i campi le donne registe
sono ancora una minoranza, nel mio caso specifico, le mag-
giori resistenze nel fare il film sono state legate al fatto che
fosse un film di ‘genere’ horror. Mi sono sentita discriminata
più su questo che non sul mio genere (scusate il gioco di
parole) sessuale. Fondamentalmente credo che il mestiere
di regista non sia né maschile né femminile: raccontare storie
appartiene all’essere umano e aiuta tutti a vivere meglio. b
Marina
storia di musica e immigrazione
Chi non ricorda il ritornello ‘Marina Marina Marina, ti voglio al più presto sposar…’, entrato prepoten-temente nella memoria collettiva anche di chi era
troppo giovane per conoscere la canzone da cui è tratto,
intitolata, ça va sans dire, ‘Marina’? Ma forse pochi sanno
che il suo autore si chiamava Rocco Granata ed era figlio
di una delle tante famiglie italiane del Sud immigrate in
Belgio negli Anni Cinquanta per lavorare nelle miniere di
carbone. È proprio questa la storia raccontata dal filmaker
belga Stijn Coninx, nel film Marina, distribuito dalla Movi-
mento Film, all’interno di una ri-
costruzione storica ed ambien-
tale curata ed efficace. Il padre
di Rocco, Salvatore (un cupo
ed intenso Luigi Lo Cascio),
che da giovane suonava la fi-
sarmonica, abbrutito dalla vita
delle miniere, fatta solo di fati-
ca, miseria e razzismo, ostacola
in tutti i modi il sogno del figlio:
suonare e scrivere canzoni. Ma
la determinazione di Rocco, la
sua passione giovanile e la sua
ansia di riscatto (ottimamente
rese dall’attore Matteo Simone), sostenute dalla madre
(una brava e malinconica Donatella Finocchiaro) e moti-
vate dall’amore per una biondissima autoctona, avranno
la meglio. Lavorando come meccanico, il giovane riuscirà
a comprare una costosa Stradella ed a partecipare e stra-
vincere un concorso: sarà l’inizio di una carriera tutta in
salita che lo condurrà fin nella mitica Carnegie Hall di New
York. Sentimentale e nostalgico, il film arriva dritto al cuore,
che si stringe ancor oggi per le condizioni umilianti di vita
degli immigrati all’estero, allora come oggi.
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