Numero 6 del 2014
Cultura e futuro, Addio
Testi pagina 15
13Giugno 2014
Se non c’è più l’Italia, se quello che sei non ti appartiene,
come puoi comunicare o trasmettere il bello che hai o
che sei?”. Eppure ci sono tanti esempi positivi: dal Made
in Italy alle buone pratiche locali. “Ognuno pensa al ‘suo’
pezzetto, magari con successo. L’azienda esporta il
proprio prodotto, il comune riesce ad attirare un buon
fl usso turistico, ma non si fa sistema. Il collasso vero c’è
stato quando è arrivato il benessere, che non poggiava
su una struttura capace di tenere, in assenza di un’idea
dello Stato. È mancata la cultura, appunto. Ovunque
nel mondo riscontro un forte attaccamento all’idea del
proprio paese, e orgoglio di appartenenza. Questo è un
sentimento che non conosciamo. Tra i responsabili vi è
certamente lo Stato, nelle modalità in cui si è manifestato
agli italiani e poi la politica, percepita come una sorta
di associazione gang-
steristica...!” Un’analisi
certo cruda, e diffi cil-
mente contrastabile,
che sollecita una rifl es-
sione sulle possibili vie
d’uscita e sugli sce-
nari futuribili. “Forse
dobbiamo ripartire dal
piccolo, visto che l’u-
nico sentimento di ap-
partenenza rimasto è
quello del campanile.
Un campanilismo che
potrebbe essere rein-
terpretato positivamen-
te”. Da queste conside-
razioni non può essere
esclusa la scuola, luo-
go che hai modo di fre-
quentare spesso. “La cultura in Italia è associata al titolo
di studio, all’università. Poiché ha accesso allo studio
prevalentemente la classe agiata, si pensa che la cul-
tura sia appannaggio di chi ha il privilegio di studiare.
Così non è all’estero, dove tutti leggono tutto. Non a caso
noi leggiamo pochissimo e ormai le statistiche ci dicono
che in Italia quelli che non leggono sono la maggioranza
della popolazione. Internet sarebbe una straordinaria ri-
sorsa, ma vi accede solo chi sa cosa cercare, autentico
paradosso ora che c’è tutto a disposizione. La scuola
va un po’ come tutta l’Italia: è affi data alla buona volontà
delle persone. Alcuni insegnanti sono di livello o spesso
di straordinaria qualità, trasmettono conoscenza e buo-
na cultura per loro volontà e non perché siano premiati.
Quindi per i ragazzi l’incontro con insegnanti motivati e
che li motivano è una questione di fortuna. Altrimenti i
giovani si spengono… e devo dire che mi colpisce molto
lo scoraggiamento, la forte demotivazione che il clima
generale trasferisce su di loro. Non puoi vivere da ado-
lescente come un vecchio che pensa che non troverà
lavoro, che sarà povero. È passato il messaggio negativo
che con le proprie passioni non si vive”. Che gioventù
vedi all’estero? ”In tanti paesi c’è una vitalità incredibile,
mentre da noi il clima è mortifero. Penso alla Turchia o al
Sudamerica, agli stessi africani. Il lavoro grande che va
fatto è ridare coraggio ai giovani, perché è il coraggio
che ti fa cambiare le cose”. Sempre rimanendo all’estero,
come sai molti Istituti di cultura italiana stanno chiudendo
o sono in gravi diffi coltà… “Ne ho girati tanti e direi che
svolgono assai bene la funzione dell’insegnamento della
lingua italiana.. Poi, certo, potrebbero diventare qualco-
sa di più, comunicare ciò che l’Italia è adesso, è stata o
sarà. Insomma dovrebbero far conoscere la nostra cul-
tura. Questo dipende dalle persone che li guidano, dal
loro entusiasmo. Negli ultimi anni ho incontrato persone
giovani che probabilmente a seguito di concorso sono
arrivati a dirigere istituti, sono motivati e, fatto importan-
tissimo, parlano benissimo le lingue. È vero, i tagli non
aiutano, ci vorrebbero anzi più risorse meglio distribuite”.
L’ultimo affondo lo concentriamo sull’universo femmini-
le in relazione alla cultura. “La situazione è diversifi cata.
Nelle scuole vedo ragazze forti e preparatissime. Le dif-
ferenze si stanno scavando con le giovani che non pos-
sono studiare e che regrediscono ai livelli delle nostre
madri, agli anni cinquanta. Lì vedo il riformarsi della so-
cietà patriarcale e il discrimine è veramente l’istruzione.
La mia generazione ha avuto gli stessi diritti nell’accesso,
che è stato davvero paritario. Poi ciascuna si è scontrata
con i vecchi retaggi culturali e abbiamo dovuto lottare,
ma lo abbiamo fatto in solitudine e pensando che fos-
se un problema individuale. In generale sulle donne c’è
il problema che consumano cultura, ma che non sono
tante quelle che la producono: le registe, le editrici, le
autrici. Insomma, c’è parecchio da conquistare, ancora”.
Una battaglia da combattere oggi, assolutamente, in re-
lazione alla cultura del nostro Paese? “Le disuguaglian-
ze sociali sono troppe e troppo forti e quindi l’obiettivo
primario deve essere la giustizia sociale. Se lo Stato si
mangia i soldi che invece dovrebbero essere investiti sui
giovani e sulle opportunità, la comunità non tiene”. E se
non c’è senso di appartenenza non c’è comunità né cul-
tura. E questo Melania Mazzucco ce lo aveva già detto
all’inizio della nostra conversazione.
Foto: Melania Mazzucco a L’Avana (Cuba), ritratta accanto alla statua di
Ernest Hemingway. Foto di Tiziana Bartolini