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Numero 2 del 2014

Piccoli stereotipi screscono


Foto: Piccoli stereotipi screscono
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Testi pagina 9

7Febbraio 2014
Forse perché nell’orizzonte pur necessario delle “pari oppor-
tunità” le donne aspirano all’ “eguaglianza”, il principio che
struttura ed organizza il conflitto. Dal principio di eguaglianza
infatti, che ordina e indirizza il pensiero, ha origine un proces-
so, individuale e collettivo, che rovescia le forme di potere
escludenti ed asimmetriche: centro propulsore di un nuovo
umanesimo femminile, il principio di
eguaglianza chiama le donne a sfidare
l’ordine valoriale del patriarcato, a strin-
gere un impegno collettivo, a tessere la
tela che mette a frutto la loro capacità di
costruire relazioni, individuare spazi co-
muni, pratiche. Non è un caso infatti che
la crisi del femminismo, della liberazione
insieme individuale e collettiva delle don-
ne, (“il personale è politico”), abbia ge-
nerato un clima negativo di frammenta-
zione e solitudine. Superabile tuttavia at-
traverso un confronto deciso e combatti-
vo che, sfruttando le molte contraddizio-
ni del sociale, rinnovi il sentimento corale
di concertazione: per promuovere il ri-
spetto dell’altro, valore fondante la cittadinanza fra diversi,
ma eguali, e dunque per promuovere i diritti della donna, non
ancora riconosciuti nelle società dove la religione invade im-
propriamente lo spazio pubblico. Come avviene in Italia dove
l’influenza della chiesa è ancora oggi pervasiva e radicata.
Non stupisce infatti che la figura della Madonna, simbolo del
materno oblativo, venga riproposta come modello femminile
anche se le sue parole in risposta all’angelo, (“sia fatta la tua
volontà”), sono incompatibili con la cultura del conflitto. Così
che in tempi in cui la libertà soggettiva e i diritti individuali
sono riconosciuti come i valori fondanti della civilizzazione,
“la chiesa rischia di perdere l’occasione storica di una gran-
de e potente alleanza col genere femminile”. Queste le paro-
le di Emma Fattorini nel suo intervento al convegno “Gesù
nostro contemporaneo” tenuto a Roma dalla CEI nel febbraio
2013; e ancora: “non bisogna avere paura della sfida con la
libertà femminile perché arricchisce in primo luogo il maschio
stesso”. Ma anche il sociologo Stefano Allevi invita a rinuncia-
re senza paura al “volemose bene” italico, ad accettare un
conflitto positivo e guidato con intelligenza: “Spesso è solo
attraverso il conflitto che le posizioni possono modificarsi e
trovare i canali per evolvere: ignorare o sottovalutare non è né
utile né conveniente perché non farebbe altro che proporsi
nel tempo, con il rischio di accentuarne il contenuto distrutti-
vo anziché quello evolutivo”. b
Alla fine di dicembre è ricorso il trentacinquesimo anni-versario della legge di riforma sanitaria. Le leggi 405/75, 180/78, 194/78 e 833/78 sono la risultante delle lotte dei
movimenti, a partire da quello più potente e radicale delle don-
ne, con la rivendicazione dell’autodeterminazione e del rigetto
del pensiero unico. Ma fatte le leggi si è ritenuto non più neces-
sario il conflitto come capacità della comunità di rivendicare il
miglioramento dei beni comuni, la salute in primis. E si è dato
spazio a tutti i processi autoreferenziali delle categorie professio-
nali coinvolte nei servizi pubblici. Anche i partiti hanno operato
a difesa degli interessi corporativi. Nonostante la presenza di
persone per bene, stimata da me al 30%, con un 50% di pa-
lude che si orienta come tira il vento, il 20% di mascalzoni, si è
efficacemente organizzato per difendere gli interessi corporativi
conquistando buona parte della palude. Le buone pratiche delle
persone per bene sono state ostacolate dai politici e dagli am-
ministratori e dai dirigenti da loro scelti, sotto la pressione dell’a-
zione corporativa degli altri operatori. Le organizzazioni sinda-
cali professionali e le confederazioni sindacali generali hanno
enormi responsabilità. Queste ultime hanno disatteso una loro
funzione essenziale: quella di garantire, fatti salvi i diritti sindacali
legittimi, la qualità dei servizi pubblici. Solo la qualità, infatti, e
non la mera esistenza dei servizi rappresenta il ritorno in termini
di salario reale delle tasse e dei contributi dei lavoratori. Si è dato
così ampio spazio alla minoranza dei mascalzoni per difendere
miserabili bruscolini, peraltro avvelenati, perché il perseguimen-
to della qualità è il motore del miglioramento delle competenze
professionali e quindi del vero prestigio degli operatori. Ma cosa
significa bene comune, come si costruisce, come si valuta, quali
indicatori, chi partecipa al processo della valutazione e, prima, a
quello della programmazione, quali attori hanno titolo, e, in par-
ticolare, quale è il ruolo della comunità e con quali strumenti? La
legge 833/78 dava indicazioni generali che andavano sviluppa-
te. I movimenti degli anni settanta hanno avuto intuizioni genia-
li, che però non sono state tradotte in conseguenze operative,
quali responsabilità di programmazione, valutazione e formazio-
ne. Parlo per esperienza personale avendo operato su tutto il
territorio nazionale, nessuna regione esclusa, in contatto con tutti
i livelli politici, amministrativi, dirigenziali e di base. Potrei raccon-
tare infinite vicende sulle straordinarie e geniali attività di sanità
pubblica realizzate da semplici operatori (più spesso operatrici)
e sull’azione sistematica di ostacolo e delegittimazione che han-
no scatenato in reazione. Bisogna ripartire dal concetto di salu-
te come bene comune con lo sviluppo di tutte le conseguenze
operative, rimettendo in discussione il paternalismo direttivo e
il modello biomedico di salute. Bisogna ripartire dalla Carta di
Ottawa e dalle implicazioni che ne conseguono. Bisogna avere
consapevolezza che la comunità non è sommatoria di individui
e ciò comporta lo sviluppo di concetti innovativi delle strategie
operative. Bisogna partire dall’affermazione, di cui rivendico la
paternità, che un servizio sanitario pubblico universale ha ragio-
ne di esistere se, e soltanto se, è in grado di ridurre gli effetti
sulla salute delle disuguaglianze sociali. Questo dice, in ultima
istanza, l’articolo 32 della nostra meravigliosa e ineguagliata Co-
stituzione, che va difesa ad oltranza.
sanità pubblica
e interessi corporativi


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