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Numero 2 del 2014

Piccoli stereotipi screscono


Foto: Piccoli stereotipi screscono
PAGINA 12

Testi pagina 12

10 Febbraio 2014
ArrivA
lA sCrEEN
gENErAtioN
pubblicità e mondo
digitale e l’impatto sui
minori: temi di attualità
da approfondire.
sollecitando
le riflessioni
dei genitori
PiCColi stErEotiPi CrEsCoNo | 1
l’influenza che i mass media eser-citano sui soggetti in età evolutiva è indubbia anche - ma non solo
- sulla trasmissione di stereotipi sessi-
sti. La televisione, il web e i videogiochi,
ma soprattutto la pubblicità, premono in
modo massiccio sui processi formativi
ed educativi delle nuove generazioni.
Dopo i millennials è corretto parlare di
spot generation? “Credo di si, anche se
la spot generation è parte di un processo
più complesso veicolato dalle applica-
zioni digitali, che hanno reso la comuni-
cazione sempre più portatile e interattiva,
moltiplicando i contatti ma svilendone i
contenuti, o meglio i significati”. Il certain regard di que-
sto mese è quello clinico del Prof. Federico Tonioni
(Istituto di Psichiatria e Psicologia Università Cattolica,
Responsabile del Centro per le Patologie del web, Po-
liclinico Gemelli di Roma) e autore di ‘Quando internet
diventa una droga’ (Einaudi 2011) e ‘Psicopatologia
web-mediata’ (Springer, 2013).
 
La pubblicità è fonte dell’immaginario mitico, è davvero
in grado di costruire rappresentazioni sociali che inse-
gnano ai bambini come è fatta la nostra società?
Penso che il medium coincida con il contenuto e in
questo senso la comunicazione digitale, che è prima di
tutto una comunicazione per immagini, rende la pub-
blicità multitasking e quindi diventa talmente pervasiva
da condizionare le relazioni con l’ambiente circostante,
favorendo fin dall’infanzia le occasioni di rappresentarsi
in modo ideale rispetto a quelle di presentarsi dal vivo.
 
La sensazione è che taluni kidmarketers abbiano tra-
sformato in arte l’abilità di recidere il le-
game tra genitori e figli. Il credo alla base
sembra essere “lasciate che i bambini
vengano a noi”…
Questo, in effetti, sembra essere un ri-
schio concreto. Stabilire se la respon-
sabilità ricada sui kidmarketers o, al
contrario, su genitori sempre meno di-
sponibili a frapporsi tra i bambini e gli
screen digitali può essere un elemento
importante.
 
La sessualizzazione dei media e delle
bambine soprattutto, perplime quando
gli addetti al marketing cercano di ven-
dere a «piccole donne» vestitini ammiccanti. Nei media
mainstreaming le ragazzine sono rappresentate in ma-
niera sempre più sessualizzata. Quali rischi si corrono?
La sessualizzazione delle bambine non avviene nel loro
immaginario ma nella mente di chi le osserva, senza co-
gliere il bisogno che ogni bambino ha di giocare attra-
verso l’imitazione degli adulti. Quindi in fondo fa più male
alla mente dei grandi che a quella dei piccoli, anche se
rappresenta uno specchio inquietante del senso di disva-
lore che aleggia di questi tempi sulle nostre esistenze.
E questo pone riflessioni che attengono al valore di una
persona, che dipenderebbe dall’appeal o dal comporta-
mento sessuale…
Penso che il valore di una persona dipenda dalla capa-
cità di vivere i propri limiti come risorse e quindi in que-
sto caso non appeal e comportamento sessuale, ma la
possibilità di dare un posto alla tenerezza sia ancora il
valore più irrinunciabile. E non credo sia solo un’illusio-
ne personale.
di Marina Caleffi
BamBini in puBBlicità:
il mercato detta le leggi
La magia e la difficoltà di vendere e
far comprare un sogno ce la racconta
Francesca Pombieri, art Director
e Graphic Designer freelence, con
un robusto curriculum nelle più
importanti agenzie internazionali.
“Quando ti passano il brief per una
campagna pubblicitaria per un prodotti
per bambini, e magari di moda, la
prima cosa che pensi di solito è:
finalmente posso sognare! e inizi sul
serio a farlo, ritorni a vedere il mondo
a colori accesi e dai libero sfogo alla
fantasia. Per dire la verità questa è
la prassi, ma per l’infanzia l’illusione
che il mercato e tutte le sue regole
possano per una volta non contare è
più forte. raccolte le idee e magari
anche realizzate a livello di layout si
passa alla presentazione al cliente. e
purtroppo tutto torna di botto nei colori
tenui se non grigi della realtà. sono
poche le aziende che osano rischiare
di scostarsi dallo scenario comune in
cui tutto deve essere patinato e simile
al mondo glamour dei grandi per
‘raccontare’ invece una favola secondo
i canoni della fantasia di un bambino.
avete mai visto un bambino disegnare
una donna come una modella (a meno
che non sia la figlia/o di un grande
stilista e quindi veda bozzetti da che
ne ha memoria e sia anche dotato
di una manualità rara) all’età di 5/6
anni? Lavorare in pubblicità o in
comunicazione oggi è molto frustrante
per certi versi, il possibile dipende
dalla predisposizione del cliente, ci
sono regole dettate dal mercato contro
cui non si può andare. se l’imperativo
è vendere un sogno - e questo non
è mai cambiato negli anni - credo si
possa però dire che l’immaginario dei
sogni si sia piano piano trasformato
a causa di un mondo che valorizza
‘l’apparire’ in un certo modo. Per
comprendere se questo sogno sia
giusto o no provate a partecipare alla
realizzazione di uno shooting di una
campagna per bambini: che dite sarà
più facile farli giocare o imbellettarli
e vestirli in modo che possano essere
modelli per un giorno?”
m.c.


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