Numero 10 del 2016
Quelle che il potere. Donne ai vertici
Testi pagina 7
5Ottobre 2016
Oggi pensavo a un pranzo con alcuni imprenditori, circa tre anni fa. Nel mezzo di una crisi
che li stava stritolando, e demotivando,
quello che li feriva di più - disse uno di
loro - era che ‘un tempo con una stretta di
mano stringevi un accordo, oggi neppure
una firma significa più nulla’.
Mi aveva colpito, perché mi ero seduta al
tavolo contro voglia, immaginando che
avrei ascoltato i soliti discorsi con lamentele
condite di istanze contro il Governo di
turno su eccessiva tassazione, mancanza
di incentivi all’innovazione e bla bla bla.
Quel che si ascolta di norma ai convegni,
ai dibattiti in cui a parlare sono i vertici di
istituzioni o rappresentanze di categorie.
Quelli che nelle aziende, per capirci, non ci
entrano, non sanno come funzionano, come
si vive, con l’angoscia di famiglie intere che
dipendono da te. Eppure tutelano, o così
dovrebbe essere, chi producendo e magari
esportando crea occupazione. Quella frase
si era insinuata dentro di me. E ci avevo
scritto un pezzo per una rivista. Perché per
quel signore, lì con la figlia cui sperava di
lasciare l’attività, in nome della tradizione
famigliare tanto invocata in Italia, la
sconfitta vera era quella etica. Il disagio vero
era la sfiducia. La paura vera era quella di
relazioni non autentiche. Oggi le sue parole
mi sono tornate in mente, pensando a tutte
le volte che le persone si assumono impegni
senza mantenerli. Così, con faciloneria,
superficialità. Perché tanto le parole
volano. Il resto è retorica. In fondo per non
perdere la faccia basta non averla, come
la dignità. Sarà che io proverei vergogna a
non essere coerente. Mi sentirei di tradire.
Probabilmente sono retrò. Anacronistica.
Agé. Vecchio stampo. Off. Però siamo in tanti
così e quindi non sono sbagliata. Mi sono
chiesta se c’entrano i tempi o l’educazione
e mi sono risposta che sono strettamente
connessi. Quel che c’entra davvero è il senso
di responsabilità individuale, perché i visi
di tolla ci sono sempre stati e sempre ci
saranno. Ovunque. Forse però oggi, con la
perdurante crisi, si è legittimata la perdita
di morale. Che si verifica in ogni ambito e
fa spesso sentire stupidi. Io oggi mi sono
sentita così. Presa in giro sul fronte di un
progetto che richiamava in causa entusiasmi
condivisi. Ma la condivisione, nel mondo
reale, è rara. Seppure sia uno dei concetti più
in voga, soprattutto grazie al web e ai social,
perché per ‘condividere’ basta il mouse.
Nell’etica al tempo dei like provare ad essere
persone perbene è davvero difficile. Significa
ingoiare rospi, delusioni, che sono peggio
delle offese dirette. Ma si può scegliere di
essere altro? O altri? Non credo proprio.
Certo vorrei, per una settimana della mia
vita, non sentire il senso del dovere con cui
sono cresciuta fin da piccola, che a me pareva
normale, perché mi consentiva argini, metri
di giudizio. Senza pesarmi. Ecco, ciascuno di
noi porta in giro se stesso bambino. Educato
o maleducato. Buono o cattivo. Sincero o
bugiardo. E io, dell’infanzia, porto con me il
senso del dovere.
E la vergogna all’idea di non mantenere
la parola data. Dell’età adulta, invece,
la consapevolezza che è sempre meglio
sbagliare per fiducia che per sfiducia.
Però sì, aveva ragione quel signore,
la stretta di mano che diceva tutto,
racchiudeva un pezzo di mondo bello.
di Camilla Ghedini
IL VALORE DI UNA STRETTA
DI MANO
Le idee mancano e le ideologie senza
il conforto della fede, non possono ri-
prendersi il gioco quando qualcuno
ha rovesciato le carte, le multinazionali
sfuggono al fisco e si è allargata la for-
bice tra chi ha e chi non ha.
Dovrebbe tornare ovunque il prima-
to della politica, ma il sistema strin-
ge i freni e produce crisi di credibi-
lità. Anche in Francia, in Germania,
perfino nei paesi della giustizia sociale
del Nord Europa prevale la paura, non
della guerra, ma degli immigrati: il po-
pulismo agita la cosiddetta “pancia”
e nessun politico in nessun paese del
mondo osa nominare quei “sacrifici”
un tempo virtuosi e patriottici: la Merkel
rischia il suicidio politico, mentre la Le
Pen ha consenso.
Battuta d’arresto? Sì, ma guai cede-
re alla paura e non guardare avanti,
per evitare che il futuro diventi solo
conflittuale. Chi è cittadino/a si sfor-
zi di capire di più: la conoscenza e la
politica - anche se sembra di merda
- possono farci scegliere la via della
difesa dei diritti sciogliendo nodi pas-
so dopo passo, contraddizione dopo
contraddizione. Il “sistema” può avere
finito di produrre merci: deve passare
a produrre benessere umano: l’antico
progetto di cambiare il mondo è anco-
ra nelle nostre mani, anche se non sarà
tutto rose e fiori.
Il nostro genere è quello che, anche
quando deve rinunciare, conserva l’ali-
mentazione dei desideri. È la via, anche
politicamente, migliore, tenendo conto
che conosciamo bene la moderazione,
soprattutto se questi tempi, pur di crisi
ci consentono il pane e le rose.
Certo abbiamo ragione di essere tut-
te preoccupate del nostro empower-
ment: dentro un sistema terremo-
tato le difficoltà sono tante per far
avanzare insieme i diritti delle donne
mentre il mondo va avanti per i fatti
suoi. L’estate è finita con la polemica
sul burkini, che non è mica l’infibulazio-
ne: non è troppo poco per femministe
vecchie e nuove? b
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