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Numero 10 del 2014

Occhio alle (De)Generazioni


Foto: Occhio alle (De)Generazioni
PAGINA 41

Testi pagina 41

39Ottobre 2014
sionale, ma un’idea di partenza di ispirazione
cristiana, che rappresenta la lente attraverso
cui leggere e interrogare l’esperienza umana.
In scena è forte la presenza di tante croci, che
insieme formano la barca sulla quale viaggia-
no i migranti, bastonati da un Lucifero scafista.
Ashai è l’unica donna del gruppo di naufra-
ghi e porta dentro di sé un figlio. “Recitare in
questo spettacolo mi ha reso consapevole di
quanto sia forte l’essere umano, di quali pene
si possano sopportare, e di come si possa
comunque sopravvivere all’orrore. Per me, è
stata una prova attoriale incredibile, ed è sicu-
ramente il ruolo più importante della mia car-
riera di attrice. Interpretare una donna che rimane incinta
del fratello costretto a stuprarla su ordine di un soldato è
un’esperienza fortissima che rivivo sul palco ogni sera”.
Tutte le storie che compongono Finis Terrae, rielaborate
da Gianni Clementi, drammaturgo e autore del testo, sono
storie vere tratte dai bollettini della Caritas, e anche la tra-
gica parte interpretata da Ashai è la storia vera di tante
donne africane che arrivano sulle coste siciliane. Nel pa-
ese di origine o lungo le tratte intermedie hanno spesso
subito violenze, stupri e atrocità inenarrabili. Ma dentro
questa storia c’è anche una grande volontà di ribellione e
di riscatto e il pietismo lascia il posto ad una vera ricerca
dell’incontro tra culture, che avviene grazie alla musica
e al ballo. Ashai dentro questo spettacolo è perfetta e si
muove a suo agio, anche se per questa parte ha dovu-
to parlare in un italiano stentato che rendesse credibile il
suo personaggio. “Finora ho sempre fatto l’immigrata, la
prostituta. Sto ancora aspettando una parte da italiana”.
Quella che lei sente come una ferita personale è un brutto
segno per un’Italia ancora miope rispetto al tema del me-
ticciato culturale e all’incontro col diverso. Ma i ponti, si
sa, si costruiscono strada facendo. b
tà, e forse per questo sembra non avere paura
di non farcela in questi tempi duri e sconfor-
tanti. “Per molti di noi con la crisi in realtà non è
cambiato molto. Facciamo un lavoro in cui non
c’è nessuna sicurezza. Ci sono periodi in cui
lavori di più, altri di meno, ma amo il lavoro che
faccio e la vita che ho scelto. Diverso è per
molti miei amici che hanno speso anni per tro-
vare un lavoro fisso e con la crisi si sono trovati
fuori dalle aziende e con un pugno di mosche
in mano”. E se fossero proprio gli artisti a sug-
gerire nuove soluzioni partendo da questo loro
osservatorio “fuori norma”? “Credo che l’arte
in questo momento storico abbia una gran-
de responsabilità. Stiamo entrando in una nuova era del
mondo, e c’è un forte bisogno di spiritualità e di messaggi
positivi. Il teatro e le altre forme artistiche hanno la capa-
cità di trasmettere il senso delle cose attraverso linguaggi
simbolici, suoni, movimenti del corpo, che vengono rece-
piti dal pubblico in un modo spontaneo. Abbiamo la pos-
sibilità di parlare alla pancia prima che alla testa”. Questo
l’intento dello spettacolo teatrale
“Finis Terrae”, di cui Ashai è la
protagonista femminile: riuscire a
raccontare l’immigrazione anche
attraverso la musica e la danza
africane, che trascinano il pub-
blico oltre ogni immaginazione.
L’opera, frutto della coproduzione
tra la Fondazione Istituto Dram-
ma popolare di San Miniato e il
Teatro Stabile del Friuli Venezia
Giulia, andrà in scena nelle pros-
sime settimane a Trieste, Perugia
e Catania. Uno sguardo diverso
su una tragedia umana di propor-
zioni spaventose: oltre ventimila i
migranti che dal 2000 ad oggi
hanno perso la vita in mare, sen-
za che questo abbia convinto le
Istituzioni ad aprire dei canali umanitari, evitando così di
condannarli ad una morte per cui hanno anche pagato
molti soldi. “Da anni lotto per il riconoscimento della cit-
tadinanza alle seconde generazioni e per la piena inte-
grazione di quelli che come me sono a cavallo tra due
culture. Ma parlare dei viaggi dei migranti è diverso, io di
fatto sono una privilegiata. Non ho dovuto sopportare tutto
questo dolore per salvarmi la vita”. Nella rappresentazio-
ne delle sofferenze, il regista Antonio Calenda sceglie di
usare alcuni simboli della religione cristiana, iscrivendosi
nel filone del “Teatro dello Spirito”. Non un teatro confes-
“i migrAnti
hAnno
unA curA
e un rispetto
dellA vitA
che dA loro
c’è solo
dA impArAre”
\


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