Numero 7 del 2011
Andamento lento
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terpretazioni, che entra nella vita femminile e ne determi-
na la condizione. Sulla battaglia intorno alla modifica di que-
sto articolo si incentra il dibattito politico kurdo e irache—
no, con letture e imposta-
zioni distanti tra loro. Que-
stione centrale in un pae-
se — guidato dal secondo
mandato di Nuri Al Mali-
ki — in cui le donne rap—
presentano il 60% della
popolazione, e sono co-
strette a sfidare patriarca—
to, fondamentalismo e maschilismo per poter esercitare i pro-
pri diritti.
Tra le voci principali che hanno animato il dibattito ro-
mano quella di Safia Taleb Al Souhail, liberaldemocra-
tica e parlamentare irachena, che verso le lotte delle don—
ne e i criteri di rappresentanza ha un approccio realista:
“Se abbiamo ottenuto dei risultati — dice — bisogna com-
battere per difenderliâ€.
Indubbiamente sì, anche se la donna in Iraq ha sempre
rivestito un ruolo centrale. A differenza di altri paesi ara-
bi l’Iraq ha avuto il suo primo ministro donna nel 1958,
non parliamo quindi di una società arretrata. Durante gli
anni del regime Ba’th il partito unico ha dato un forte im-
pulso all’istruzione femminile, subordinandola però al-
l’affiliazione al partito unico. Dopo il 2003 le cose sono
cambiate, la donna oggi è a fianco dell’uomo nella co—
struzione del futuro, e sono stati ottenuti dei risultati. Esi-
ste una quota di rappresentanza femminile sia kurda che
irachena fissata dalla Costituzione 21125 O/o, anche se le no-
stre richieste prevedevano il 40%. Le donne sono state
scelte e votate dalla popolazione e hanno dato nuovo im—
pulso alla politica del paese, ma non bisogna smettere di
battersi perché la presenza femminile aumenti e non sia
soltanto formale. Esigiamo che le donne siano parte in—
tegrante del percorso decisionale e politico del paese, con-
tinuiamo a chiedere il massimo per ottenere il minimo.
Deve essere chiaro che non ci limitiamo a volere una fet—
ta di torta: vogliamo decidere quale torta, e cucinarla.
Diversa la posizione di Houzan Mahmoud, attivista kur—
da irachena e rappresentante dell’Organization of Women’s
Freedom in Iraq (OWFI). “La rappresentanza — sostie-
ne — è solo apparente. Anche le donne vogliono il pote—
re, e quando lo ottengono diventano parte del sistemaâ€.
Credo che la quota di rappresentanza sia semplicemente de-
gradante per le donne, in Iraq come in qualsiasi altra par-
te del mondo. Se le donne rappresentano il 50% della po-
polazione questa dovrebbe essere la percentuale presente
in ogni organismo della società . Ottenere dagli uomini una
concessione non è democratico, è solo un gesto di faccia-
ta lanciato per dare l’immagine di un paese modernizzato.
C’è poi la questione di chi va a ricoprire questo 25 %: do-
vrebbero essere donne che hanno un legame forte con i mo-
vimenti di base e con la società , scelte da altre donne per
la loro attività , non sulla base di proclami e assetti partiti-
ci. Coloro che hanno ottenuto il potere hanno finito per ren-
dersene complici: abbiamo una costituzione basata sulla Sha—
ria, leggi che consentono la poligamia: non è stato fatto nien-
te per cambiare le cose, perché manca una visione femmi-
nista della lotta per la democrazia. Le donne in politica, in
Iraq, sono diventate parte integrante dell’agenda patriarcale.
Almeno noi non dovremmo essere naive: le donne hanno
il diritto di ottenere la gestione del potere, ma il dovere di
esercitarlo in modo diverso rispetto all’uomo.
Infine, qualche data: nel 1982 viene abolito il delitto d’ono—
re. Nel 1996 viene introdotta la modifica alla legge che
rende la violenza sessuale reato contro la persona, e non
contro la morale. Il livello di rappresentanza femminile
nel governo? Fermo al 16%. Questa, però, è l’Italia.
La versione integrale di questo articolo sul sito www.noidonne.org
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