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Numero 10 del 2016

Quelle che il potere. Donne ai vertici


Foto: Quelle che il potere. Donne ai vertici
PAGINA 30

Testi pagina 30

28 Ottobre 2016
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davanti alla famiglia, mi ha offerto un bicchiere d’acqua e
limone, chiarendo a tutti che io ero stata accettata come
membro di quel gruppo. All’inizio è stato difficile perché
ero una straniera; quando è nato il mio primo figlio mi dice-
vano che era un peccato che fosse così bianco. Rebeca è
analfabeta ma è una donna che ha una cultura im-
mensa e un senso estetico sconfinato. È figlia
di uno sciamano, un uomo molto importante
e con le sue mani operose modella cera-
miche sorprendenti.

Nella selva scopri un’altra
spiritualità.
Per le popolazioni indigene della selva
amazzonica ogni cosa è animata. Io mi
sono trovata subito a mio agio con questa
cosmovisione, forse perché sin da piccola
ero attratta da un mondo fantastico, quello dei
druidi, degli elfi. E quindi non ho avuto problemi a credere
che gli alberi, le foglie, l’acqua, avessero un’anima. Nella
selva il mondo vero non è quello in cui viviamo tutti i giorni
ma questo ultramondo a cui si accede attraverso riti e ce-
rimonie nella quali si usa assumere sostanze che aiutano
il nostro spirito ad accedere al mondo al di là. Il mediatore
per eccellenza è lo sciamano, che ha una funzione impor-
tantissima per tutta la comunità e anche per ogni individuo
della comunità. Con la differenza che, mentre nella sierra lo
sciamano individua la causa e cura la malattia della perso-
na, nella selva intraprende una lotta con chi ha provocato
quella malattia. Io sono stata curata da uno chaman (scia-
mano) che mi ha liberato da un susto (perdita dell’anima)
e mi ha fatto rinascere. Entrare a fondo in questo mondo
mi ha portato a scrivere un libro sugli Huaorani, una popo-
lazione della selva che sta in isolamento volontario e non
gradisce i contatti con la civiltà occidentale: Naufragos del
mar verde. La resistencia de los Huaorani a una integra-
ción impuesta.
La tua vita in selva non è stata attraversata solo
da momenti familiari e intimi ma ti ha coinvolto
anche nelle battaglie politiche dei quichua della
selva?
Si, ho vissuto con loro dei momenti storici importanti. Il più
emozionante è stato sicuramente la marcia di 500 chilome-
tri a piedi, nel 1992, da Puyo a Quito, per ottenere i titoli di
proprietà della terra (900mila ettari); abbiamo vinto dopo
estenuanti negoziati con il governo di Rodrigo Borja. È sta-
to un avvenimento epico che ricorderò sempre anche per
le innumerevoli dimostrazioni di solidarietà della gente. A
Pelileo, già sulla sierra, a mezzogiorno il sole batteva molto
forte e rendeva l’asfalto incandescente. Gli indigeni amaz-
zonici marciavano scalzi e la gente buttava acqua sull’a-
sfalto perché non si bruciassero i piedi. Erano i giorni vicini
a Pasqua e una famiglia di sconosciuti mi vide marciare
con mio figlio Arau di 4 anni e ci invitarono a mangiare la
fanesca (piatto tipico). Sui giornali apparve la foto di una
donna dai capelli rossi che marciava insieme agli indi-
geni. Con molto folclore, e rivelando la loro visio-
ne colonialista, dissero che guidavo la marcia,
mi chiamavano “la puta de los indigenas”.

Altra tappa importante sono gli Stati
Uniti?
Abbiamo avuto un colpo di fortuna e Carlos è
stato chiamato come consulente delle Nazioni
Unite. Washington mi è piaciuta tanto. Ho tro-
vato lavoro in una radio latina. Era una radio com-
merciale ma io, che credo che la comunicazione
sia un servizio, mi ritagliavo programmi più sociali: con i
detenuti sulla lettura, con la biblioteca per raccontare le favole
in spagnolo ai bambini di seconda generazione perché non
perdessero il contatto con la loro lingua madre.
uno dei
momenti più
emozionanti
è stata la marcia
di 500 chilometri a
piedi, nel 1992, per
ottenere i titoli di
proprietà della
terra
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