Numero 7 del 2011
Andamento lento
Testi pagina 17
quella dei comunisti sulla politica e sulle scelte del-
l'UDI. Perchè hai sentito questo bisogno?
È un peso che ci portiamo dietro, generato anche della
critica del movimento femminista che ci accusava di non
essere autonome e di omologare le donne agli uomini. In-
vece la nostra storia è segnata dalla ricerca, dalla conquista
e dalla difesa dell’autonomia. Mi sembrava fondamenta—
le ricordarlo. L’idea che abbiamo sempre perseguito, era
l’unità delle donne al di là delle differenze politiche, re-
ligiose o sociali. Nell’acronimo dell’UDI la parola forte
è UNIONE.
Scrivi che oqqi I'UDI “proclama apertamente di non col-
locarsi né a destra né a sinistra, ma solo dalla parte
delle donne“. Che senso dai a questa affermazione?
È una constatazione. Per me autonomia significa partire
dal punto di vista delle donne e, guardando il mondo con
occhi di donne (come si è detto a Pechino), giudicare le
politiche economiche, politiche e sindacali. Dal punto di
vista delle donne compi scelte che non sono necessaria-
mente di destra o di sinistra. Naturalmente sovente tro-
vi che le idee e gli atti della destra sono peggio di quelli
della sinistra nei confronti delle donne. Questo fa sì che
ci sia più spesso una sintonia con la sinistra, il che non equi-
vale all’adesione a uno schieramento politico.
Non ti sembra che ogqi con alcune donne di destra ap-
pare difficile, se non impossibile, costruire alleanze?
Non c’è dubbio. È un problema nuovo ed è serio.
Usciamo da un ventennio di propaganda individualista
e consumista che, oltre a produrre una estrema frantu—
mazione, ha dato valore all’esteriorità . Molte donne
hanno introiettato questi modelli.
In passato, forse, trovare sintonie era più facile per-
chè le lotte erano per diritti elementari. qui le que-
stioni in gioco coinvolgono una visione più com-
plessiva del mondo e della società ...
Ci sono due questioni. Le donne sono soggette ad un con-
trattacco: conquiste costate anni di lotta oggi sono a ri—
schio, se non addirittura perse. In Italia la percentuale di
donne occupate è una delle più basse d’Europa; la pari-
tà di retribuzione è spesso una chimera; la presenza del—
le donne nelle cariche pubbliche, nelle istituzioni è esi-
gua; una serie di diritti che le donne hanno conquistato
oggi non sono esigibili a causa della precarietà nei rap—
porti di lavoro che colpisce in modo particolare le ragazze.
Tale precarietà è aggravata dalla crisi economica, ma era
preesistente allo scoppio della crisi finanziaria mondia—
le. L‘altra è il problema della società maschile, che po-
nemmo fin dal ‘64. Nella democrazia moderna che nasce
dalla rivoluzione francese il carattere maschile è fonda-
tivo. Sono convinta che un passo ulteriore si fa solo se si
adegua il sistema sociale ai due generi, il che vuol dire su-
perare la divisione tra il pubblico e il privato dove il pub—
blico spetta all’uomo e il privato alla donna, non subor-
dinare la conservazione della vita al sistema produttivo.
Un riconoscimento della sfera privata vuol dire rivedere
gli orari, i moduli della formazione, l’organizzazione del
lavoro. Invece oggi la società è impostata per uomini che
hanno una donna alle spalle che pensa a loro, che si deve
fare carico di un doppio lavoro, extra-domestico e di cura.
Ormai molti autorevoli economisti giudicano il PIL
insufficiente come sistema di valutazione, poi ci sono
le contestazioni nel mondo arabo. Non ti sembra che
questo sistema 'maschilÈ cominci a vacillare?
Sì, se i movimenti delle donne uscissero dallo stato di fram-
mentazione in cui si trovano che li porta ad occuparsi pre-
valentemente di questioni specifiche, e se riuscissero a tro—
vare pochi obiettivi sui quali unirsi per incidere sull’as-
setto di questa società . Da questo punto di vista il 13 feb-
braio è stato un nuovo inizio, una cosa straordinaria. Sono
convinta che quelle piazze abbiano contato e che i risul-
tati delle elezioni amministrative senza quella mobilita-
zione non ci sarebbero stati. Le donne ancora una volta
hanno dato il segnale premonitore.
Quella che occorre è quindi la capacità di uno squar-
do più 'alto', di una visione più generale, politica. L'UDI
potrebbe dare un contributo in tal senso?
Sì, perché poter fare riferimento a tanti gruppi locali ren—
de l’UDI, a differenza di altri movimenti, un’associazio-
ne articolata, presente su tutto il territorio nazionale, ca-
pace di una visione più generale. Senza violare l’autono—
mia delle UDI locali, occorrerebbe però individuare re-
gole e forme che superino i residui dello spontaneismo
e dell’assemblearismo degli anni ‘80. Oggi, di fronte a pro—
blemi nuovi, c’è bisogno di organismi che abbiano fun-
zioni chiare e definite. Già al congresso del 2001 dicem-
mo ‘abbiamo imparato a dire io e adesso impariamo a dire
noi’. Ecco, questo ‘noi’ dovrebbe adesso strutturarsi e ac-
quisire forme che rendano effettivamente possibile un la-
voro più collegiale, una circolazione maggiore delle
idee, una maggiore incidenza sulla scena politica e sociale.
Quali potrebbero essere le parole chiave del prossi-
mo congresso dell'UDI?
Il lavoro e la lotta contro la precarietà , pari accesso a tutti
i posti di decisione, uno stato sociale al servizio delle don—
ne, continuare la battaglia contro la violenza alle donne. E
interrogarsi su come modificare la società maschile. I
noidonne | luglio—agosto | 2011
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