Numero 6 del 2006
Costituzione: dose minima consentita
Testi pagina 15
noidonne giugno 2006 15
Lidia Menapace, figura storica del mo-vimento femminista e nonviolento,
eletta al Senato come indipendente nel-
le liste di Rifondazione Comunista e
candidata dal movimento pacifista alla
carica di Presidente della Repubblica,
risponde alle nostre domande sull'immi-
nente appuntamento referendario.
Cosa pensa della devolution?
Quando fu presentato e poi votato
questo progetto di legge, fui molto
preoccupata. Non tanto per la devolu-
tion, perchè sono per il massimo delle
autonomie possibili, ma per l'autono-
mia fiscale perchè il fisco è uno stru-
mento di riequilibrio dell'uso delle risor-
se e invece con la devolution anche fi-
scale chi è ricco resta ricco e chi è pove-
ro diventa sempre più povero.
E della parte che modifica gli assetti
istituzionali?
Questa è la cosa che mi preoccupa di
più. Il Presidente della Repubblica non
conta più niente e il Capo del Governo
(non più Presidente del Consiglio) viene
eletto direttamente dal popolo e l'in-
ghippo veramente preoccupante dal
punto di vista della riduzione della de-
mocrazia è che se il Parlamento lo sfi-
ducia non decade proprio perchè eletto
dal popolo. Lui, però, ha il potere di
sciogliere il Parlamento. Insomma sa-
rebbe una figura super autoritaria di
Premier in una mancanza di poteri da
parte del Parlamento. Non solo, quale
Parlamento voterebbe contro un Presi-
dente che lo ha fatto eleggere e che lo
può mandare a casa? I parlamentari
non sono eroi.... e va detto che purtrop-
po però l'idea del premierato piace an-
che a parte della sinistra.
A cosa avrebbe dato priorità lei per
migliorare le forme della politica?
Innanzitutto alla democrazia. Alla
presenza di un dialogo reale tra rappre-
sentanze e rappresentati. E al rallentare
la rapidità con cui si prendono le deci-
sioni. E questo vale a vari livelli. Io sen-
to molto forte l'urgenza di agire per
cambiare le cose, ma al tempo stesso so
che quando c'è un'urgenza bisogna esse-
re lenti. Ciò di cui avremmo più bisogno
sarebbe distendere in un tempo ristretto
un ragionamento calmo. E questo, pur-
troppo, non si riesce a fare, a causa del-
la rapidità con cui si fanno le cose. Noi
donne elette, che ci siamo riunite in un
comitato, siamo state già sorpassate
dalle decisioni che sono state prese, ra-
pidamente, da quelli che si sono subito
insediati, attaccati al loro potere. Per
non parlare della possibilità di portare
in Parlamento le rivendicazioni di un
movimento della società civile. Arriva
sempre tutto troppo tardi. E ci ritrovia-
mo a fare i giochi di risulta. Mentre in-
vece ciò che più servirebbe è avere la
forza di dire: "no fermiamoci un mo-
mento, più che di andare veloce adesso
serve mantenere una relazione molto
fervida tra rappresentanze e rappresen-
tati/e". Bisogna fermare il vorticoso mo-
to della politica, rallentare i tempi per
fare spazio alla democrazia perchè se
no ci troviamo sempre di fronte al fatto
che altri, che avevano la legittimità di
farlo, hanno preso le decisioni...
E nel frattempo cosa può aiutare la
democrazia?
I movimenti dovrebbero chiedere
un'interlocuzione alla pari con i partiti
di riferimento. Loro compito è fare emer-
gere in maniera chiara le posizioni della
società civile e superare un linguaggio
troppo generico. Non basta dire "supe-
ramento di una determinata legge", bi-
sogna anche specificare che cosa si in-
tende per "superamento", che per alcuni
può essere andare avanti per altri tor-
nare indietro. Mi riferisco, ad esempio,
alla legge 30.
Ma la politica è incastrata in questo
moto vorticoso, o c'è qualche possi-
bilità di uscirne?
I movimenti della società civile rap-
presentano una grande potenzialità,
purché abbiano la capacità di leggere il
reale nella sua complessità e non senta-
no troppo il bisogno di unità o sintesi. Io
sono contraria a questi termini, che so-
no monoteisti e tengono sempre fuori
qualcuno. Il pluralismo è un'altra di
queste trappole. Perchè non è assoluta-
mente detto, ad esempio, che una na-
zione dove ci sono otto partiti sia più
democratica di una dove ce ne sono
quattro. Il problema sta nel fatto di sta-
bilire nel partito (forma politica che ha
finito la sua storia, anche se continua a
mantenere un grande potere) l'unica for-
ma della politica, mentre invece biso-
gna avere a cuore una molteplicità di
forme. I movimenti non sono, come dice
qualcuno "pre-politica", bensì sono altre
forme della politica. In una società
complessa come la nostra non è più pos-
sibile avere una sola forma che interpre-
ta la società. È necessario che i soggetti
si organizzino secondo le proprie carat-
teristiche, e la sfida, a mio parere, è
quella di riuscire a gestire la molteplici-
tà lasciandola molteplice e non cedere
al riduzionismo.
Partiti, movimenti e rappresentanze
Referendum costituzionale / 3
Giovanna Providenti