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Numero 6 del 2006

Costituzione: dose minima consentita


Foto: Costituzione: dose minima consentita
PAGINA 26

Testi pagina 26

giugno 2006 noidonne26
La speranza di convivere pacificamen-te in Medio Oriente è affidata simbo-
licamente alle donne, protagoniste asso-
lute dell'ultimo, bellissimo film di Amos
Gitai, già premiato a Cannes 2005 per
la miglior attrice ed uscito di recente
nelle sale italiane. E' forse uno dei pochi
casi, che vengano in mente, in cui un
uomo traspone interamente al femmini-
le una storia vera, che aveva all'origine
protagonisti maschili. Rebecca (Natalie
Portman) è una giovane americana di
padre ebreo che vive a Gerusalemme: il
film si apre sul suo pianto dirotto, per
avere appena lasciato il fidanzato, ma
ci si accorge subito (anche perché la
scena si svolge presso il Muro del
Pianto) di essere in presenza di una sof-
ferenza ben più vasta, quella dei popoli
di un conflitto senza fine. Scorrono
infatti, insieme alle lacrime, i sottotitoli
di un'antica nenia della tradizione
ebraica pasquale, che una donna canta
in lontananza (portata in Italia dalla
canzone di Branduardi Alla fiera
dell'Est): dopo il ciclico racconto delle
vicende di uomini ed animali (il cane, il
gatto, l'agnello, il bue, il macellaio) la
cantante conclude "quando finirà que-
sto ciclo di orrore? Io ero una colomba,
ora non so più chi sono". Il film si dis-
piega successivamente come un road-
movie: la rude tassista israeliana
Hanna (la premiatissima Hana Laszlo),
mossa a compassione, decide di portare
con sé Rebecca in un luogo dove è diret-
ta per affari. Si tratta della free-zone che
dà il titolo al film: un luogo realmente
esistente oltre la frontiera israeliana nel-
l'est della Giordania, dove le ostilità
sono sospese per fare affari e commer-
ciare, privo di posti di blocco, dunque
un luogo perfetto (fisico e mentale) per
riuscire a dialogare ed a pensare oltre la
guerra, nelle cose concrete del quotidia-
no. Le due donne, una volta arrivate
nella zona franca, solidarizzeranno con
Leila (Hiam Abbass, nota per Satin
Rouge), una palestinese con grossi guai
in famiglia, fino all'esplicito finale dove
vicende pubbliche e private delle prota-
goniste e dei paesi che rappresentano
sono palesemente intrecciate: si possono
mantenere posizioni divergenti senza
per questo uccidersi Uscito in lingua ori-
ginale, il film miscela i linguaggi (oltre
alle storie personali) delle tre donne,
ebraico, arabo e inglese, mettendo in
evidenza un punto di vista davvero ori-
ginale e privo di retorica sulla situazio-
ne israeliano-palestinese, lasciando alle
donne il ruolo più difficile, quello di
operare una mediazione culturale.
Territori di frontiera al femminile
A tutto schermo
Elisabetta Colla
tre grandi attrici protagoniste
dell'ultimo film del regista
israeliano Amos Gitai
Il potere alle donne
Amos Gitai ha presentato in Italia il suo ultimo film, Free-Zone, rispondendo volentie-
ri alle domande ed alle sollecitazioni sul suo lavoro, nell'ambito di un incontro orga-
nizzato dalla Provincia di Roma e dall'Istituto Luce. Cineasta a tutto tondo, di forma-
zione architetto come il padre (fuggito dal Bauhaus a causa del nazismo), ama i detta-
gli perché, dice, essi sono metafora di cose più grandi. L'idea di territorio e di confine,
la diaspora delle popolazioni mediorientali, la costante apertura al dialogo, sono i suoi
temi ricorrenti. Al ritorno in Israele dopo il suo esilio volontario (causato, negli anni
Ottanta, da gravi scontri con la censura) produce la nota trilogia delle città: Devarim,
girato a Tel Aviv, Yom Yom, ad Haifa, e Kadosh, storia di una donna ripudiata perché
ritenuta infertile, realizzato nel quartiere più ortodosso di Gerusalemme. E' da poco
uscito un bel volume che ne racconta vita e lavoro, Il cinema di Amos Gitai: frontiere
e territori (Bruno Mondadori, 2006) di Serge Toubiana, già direttore dei Cahiers du
Cinéma. A chi gli chiede perché abbia scelto, in Free-Zone, di avere solo protagonisti
femminili, risponde così: "I generali e i militari sono uomini: sono sempre stati uomini
i Capi di Stato ad eccezione di Golda Meïr. I risultati sono evidenti: la regione è costan-
temente in guerra. Potrebbe essere interessante che le donne prendano il potere. Il
conflitto acquisirebbe una visione più umana, senza idealizzare troppo le donne poi-
ché penso che in tutti ci sia la capacità di essere angeli o demoni. Tuttavia, oggi le
donne sono agenti
di cambiamento
nella misura in cui
devono ancora
fare i conti con
comportament i
sessisti. Tutto
questo, ovviamen-
te, non ha niente a
che vedere con il
DNA ma è causato
dal posto che le
donne occupano
all'interno della
società. Finora le
donne non hanno
potuto godere al
massimo della
libertà. Probabilmente il fatto di non ricoprire posizioni di potere le rende maggior-
mente critiche rispetto alla situazione". Una nota di tristezza viene da Luciana
Castellina, presente all'incontro: "Il film è una storia di donne che cercano la pace. Ma,
nella realtà, sono anni che, con il movimento delle Donne in Nero, non riusciamo più
ad andare in Israele, mentre prima ci riunivamo a Gerusalemme. Sono pessimista: il
momento è davvero drammatico".
E.C.


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