Numero 8 del 2016
Felicità, parliamone
Testi pagina 9
7Luglio-Agosto 2016
un modello di santità femminile meno
autonomo di quello della santa anores-
sica e la santità venne a coincidere con
la malattia, che solo i chierici maschi po-
tevano accertare. Mutato l’atteggiamento
della gerarchia, le anoressiche divennero
oggetto di indagini mediche: “La malattia
si presenta ora come il tema centrale della
(loro) vita … (e) diventa un’alternativa all’e-
resia, alla stregoneria, alla follia”. Un caso
esemplare: Colomba, nata nel 1467 muo-
re affamata a 33 anni, si ispira al modello
ascetico medioevale, ma alla fine del XV
secolo la sua volontà di unirsi a Cristo non
venne riconosciuta come santa ma come
diabolica o, come disse l’Inquisitore, “fuo-
ri di senno”. Nei testi agiografici ora le
sante sono sempre costrette a letto e la
loro forza spirituale nell’affrontare il do-
lore diventa l’elemento essenziale della
narrazione: se gli uomini potevano diven-
tare santi andando per il mondo, la santità
“confina le donne in fondo ad un letto” (il
61% delle sante del XVII secolo vissero al-
lettate per molto tempo). Ma gradualmen-
te, a partire dal 1600, dopo il modello della
santa anoressica, dopo quello della santa
sofferente, si afferma il modello della
santa benefattrice che si dedica alle
opere di carità, all’insegnamento, alla
cura dei malati, alle missioni. La lettura
di Bell sulla santità femminile nella Chiesa
cattolica conferma dunque la completa
sintonia fra la società patriarcale e il ma-
gistero maschile nel negare alla donna
l’autonomia, quella che oggi chiamiamo
libertà di scelta o autodeterminazione; e
conferma che la Chiesa non ha speso la
sua autorevolezza per spegnere il conflitto
fra i sessi che vede la donna sottomessa.
Le parole di Bergoglio sulla opportunità di
dare alle donne un ruolo decisionale all’in-
terno della Chiesa, la promessa di conce-
dere loro il diaconato potrebbero essere
l’avvio di un iter che porta al riconosci-
mento della parità dei diritti anche dentro
al corpo tetragono della Chiesa cattolica.
Ma la fiducia in una riforma così sostan-
ziale e profonda vacilla: difficile aspettarsi
una rivoluzione da un concilio di maschi,
età media ultrasettantenni, nati e cresciuti
in una dimensione maschilista, sessuofo-
bica e misogina. v
Che voglia che ho di annoiarmi. Di non sapere propria cosa fare, di essere addirittura frustrata e di picchiare i
pugni sul tavolo. Un po’ come fanno i bam-
bini, soprattutto i figli unici, che si trovano
spesso in queste case vuote di ‘amici’ e devo-
no organizzare il loro spazio e il loro tempo.
Oggi di noia non soffre nessuno. I più piccoli
sono stressati tra scuole e magnifici corsi di
lingua e pratiche sportive varie. Gli adulti
sono stressati per definizione. Abbiamo per-
so tutti quel senso di agitazione interiore, di
vuoto, che rimane l’unico capace di farci tor-
nare creativi, che può indurci a reinventarci,
a scoprire nuove passioni e interessi. Lo dico
io che, sia chiaro, passo settimane intere ad
auspicare un giorno libero poi, quando rag-
giungo l’obiettivo, non so cosa farmene. Non
so come sfruttarlo. Rimango impalata sul di-
vano, telecomando alla mano, di fianco una
mazzetta di giornali cartacei e un libro; dopo
un po’ però mi scoccio, perché non sono abi-
tuata a lunga inattività, e allora accendo il
pc, perché di lavoro arretrato ne ho sempre;
magari guardo la borsa della piscina, incerta
se andare o meno, e no, scelgo di accendere il
ferro e stirare, perché la lavatrice va di conti-
nuo e visto che sono in casa, tanto vale sbri-
gare questioni domestiche. Uscire? Perché
mai? E così, semplicemente, le ore trascor-
rono lente, senza che io abbia acquisito una
sola nuova energia, mica parlo di emozioni.
E per fortuna arriva l’indomani, con l’agen-
da fitta, ed ecco riaffacciarsi il buon umore.
Non che io creda a quanti sostengono che
nella vita bisogna tendere all’equilibrio.
Questo no, perché il benessere interiore,
chiamiamolo così, toglie ogni stimolo. Un
sano tormento qualifica. L’arte, intesa come
pittura, scultura, letteratura, etc, non è cer-
to il prodotto di emotività quiete. Però forse
di un po’ di noia sì. Allora mi chiedo. Perché
non sappiamo più neppure oziare sereni?
Perché non riusciamo a progettare un tem-
po ‘altro’ dagli impegni lavorativi? Perché,
in assenza di disagi, non riusciamo a vivere?
Chiaro che chi si salva c’è. Io ho amiche che
danno forma e valore a ogni ora della loro
esistenza. E francamente le invidio. Ricordo
quando avevo 10 o 12 anni, e durante i perio-
di di vacanza non sapevo cosa fare, e allora
guardavo la libreria, i titoli e mi scorreva nel
corpo una sensazione di euforia, perché non
sapevo da dove cominciare, ne prendevo uno
a caso, spolveravo la copertina e iniziavo a
sfogliarlo. E poi magari mi mettevo a lavo-
rare a ferri, emulando mia nonna, creando
lunghissime sciarpe, anche d’estate, che
mi davano estrema soddisfazione. Oppure
guardavo nella dispensa e se trovavo uova,
lievito e farina improvvisavo dolci o copiavo
ricette dal Cucchiaio d’Argento. Poi facevo
giri in bicicletta intorno a casa. E la mia gior-
nata correva, non lenta, ma piena. E alla fine
avevo cose da raccontare. E soprattutto, di
tentativo in tentativo, ho scoperto i miei in-
teressi veri: non la maglieria, non la cucina,
ma la lettura che poi è diventata scrittura e
mestiere giornalistico e le due ruote per sca-
ricare. Ora invece, succede che se non abbia-
mo cose da ‘aspettare’ andiamo - vado - qua-
si nel panico. Certe volte mi domando come
sarebbe un giorno senza Internet, Iphon,
Tablet. Mi sembra spesso di desiderarlo. Poi,
con lucidità, ammetto che non saprei come
affrontarlo e gestirlo perché mi sentirei fuori
dal mondo. Anche se la domanda vera è se ci
sono davvero dentro al mondo.
di Camilla Ghedini
ALLA RICERCA
DELLA NOIA PERDUTA
pp.06_07_ATTUALITA_luglio 2016.indd 7 21/06/16 22.05