Numero 7 del 2015
Salute, informazione sinergie. Speciale Expo, Donne in campo - CIA
Testi pagina 8
6 Luglio-Agosto 2015
Oggi anche in Italia, paese a maggio-ranza cattolico, si levano voci che chiedono il riconoscimento dell’eu-
tanasia. Dall’antichità fino al diciannovesimo
secolo su questo tema si sono contrapposte
due linee diverse: l’una, da Platone fino a
Kant, negava la legittimità del suicidio; l’al-
tra, da Seneca a Hume, lo vedeva come
una soluzione razionale estrema. Ma oggi il
quadro è cambiato, si è dissolta l’idea della
morte “naturale”. Per la prima volta nella sto-
ria l’uomo può ritardare la morte e prolungare la vita: una nuova
forma di vita artificiale dove la morte non è più un aldilà oltre la
vita, dove la morte si lega alla vita. Molti infelici, intrappolati in
una macchina che li riduce a puri pazienti, provano una realtà
alienante: continuano a vivere, ma sono costretti a guardare la
morte in faccia, ora dopo ora, minuto dopo minuto. Diverso, ma
non meno drammatico, il caso di chi chiede una “buona morte”
per sfuggire ad una condizione esistenziale che vive come in-
tollerabile perché dietro la domanda di eutanasia c’è un tratto
qualificante la nostra cultura: la centralità del soggetto, la libertà,
il rispetto della dignità della persona, dunque il diritto di morire
con dignità. E infatti collegare il termine “eutanasia” all’espres-
sione “malato terminale” non corrisponde sempre al vero, come
nel caso di Michele Troilo. Dal fratello Carlo, autore di “Liberi di
morire. Una fine dignitosa nel paese dei diritti negati”, appren-
diamo che “Michele ormai era rassegnato … Una sera però …
ebbe un primo episodio di incontinenza. La sua badante dovette
spogliarlo, lavarlo e metterlo a letto con un pannolone. Michele
OBBLIGATI A VIVERE
Eutanasia, tEstamEnto biologico, accanimEnto tErapEutico.
lE ingErEnzE dElla chiEsa E i calcoli dEllE forzE politichE impEdiscono
in italia di scEgliErE con dignità il finE vita
di Stefania Friggeri
era un anziano scapolo, un uomo elegante,
riservato, pudico. Non fu la malattia ma l’idea
di dover ancora subire quell’umiliazione a
spingerlo ad uscire sul terrazzo e a gettarsi
nel vuoto. Perché per molti non ci può esse-
re una vita senza dignità. Lo dice anche la
nostra Costituzione, a proposito dell’accani-
mento terapeutico all’art. 32: “La legge non
può in nessun caso violare i limiti imposti dal
rispetto della persona umana”. Secondo l’I-
STAT in Italia si verificano 1.000 suicidi all’an-
no ed oltre 1.000 tentati suicidi di malati. Nel 2007 una ricerca
condotta dall’Istituto Mario Negri di Milano su 84 centri di terapia
intensiva rivelava che ogni anno su 30mila decessi il 62% era
dovuto a desistenza terapeutica, cioè alla decisione dei riani-
matori di ridurre, interrompere o non iniziare le terapie che so-
stengono le funzioni vitali. Sono decisioni assunte sulla base del
quadro clinico, quando il malato non risponde più ai trattamenti
ed ogni tentativo ulteriore sfocerebbe nell’accanimento terapeu-
tico. Accade che il medico a volte decida in totale solitudine, a
volte insieme ai parenti, “un’operazione complessa e delicata,
anche perché i familiari … non hanno sempre posizioni univo-
che e concordanti tra loro. Molto volte tendono ad anteporre
le loro convinzioni personali, invece di sforzarsi a ricostruire la
presunta volontà del loro congiunto” (Mario Riccio). Anche se
il codice deontologico vieta l’accanimento terapeutico ci sono
casi di “medicina difensiva” quando il medico ricorre a tutto
l’armamentario terapeutico offerto dalle nuove e più sofisticate
tecnologie per non essere accusato da un parente incapace di
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