Numero 4 del 2007
Al centro dell'attenzione
Testi pagina 7
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un/una compagno/a: i maschi potevano
anche accettare il sacrificio di una don-
na non ideale perché godevano di liber-
tà e libertinaggio, mentre le donne era-
no "custodi della famiglia "e il loro ono-
re era condizionato dalla rispettabilità
comportamentale. I ruoli viaggiarono
nella storia e ci furono
epoche in cui le donne
pensarono di potersi
emancipare: lo fecero le
romane in età imperiale
(l'epoca della corruzio-
ne), le illuministe, le ri-
voluzionarie.
Non spettava alla
giurisprudenza cambiare
gli statuti patriarcali: la
famiglia era un' organiz-
zazione privata in cui lo
stato non poteva mettere
il naso e la legge interve-
niva per i crimini comuni
comprovati e per le que-
stioni patrimoniali. Il
modello formale era neu-
tro, cioè maschile; e tale
è rimasto. La Chiesa e lo
Stato si rifanno a una famiglia ideale
che non corrisponde alla realtà umana,
sia pure nelle condizioni migliori. La pri-
ma addossa alle donne la colpa dell'a-
borto, come se l'uomo non c'entrasse, e
non affida all'uomo il compito della cu-
ra paritaria verso la famiglia; lo Stato
fa sconti fiscali alle famiglie invece di
predisporre servizi. Alle donne si chiede
ancora o di essere angeli del focolare o
di diventare come gli uomini.
Essere ricattate dal modello unico è
un'altra violenza. Lo è l'omologazione;
anche se con il nostro, non sempre deli-
berato, consenso. L'esercizio della pro-
fessione militare, la competitività pro-
fessionale che tante di noi esercitano
con soddisfazione forse maggiore di
quella maschile, l'ingente presenza nel
mestiere di giudice senza che cambi il si-
gnificato della norma, sono violenze
sottili, tutt'altro che trascurabili.
Si parla dell'autocritica di maschi
gentiluomini (lo ha fatto anche Lea Me-
landri); ma la testimonianza di pochi
resta morale e nessuno di loro interviene
sul piano politico. Ci sono importanti
elezioni in vista nel mondo; da noi si
parla di un nuovo, necessario partito
democratico. Ci sono mozioni congres-
suali di varie formazioni di sinistra e
centrali: qualcuna ha visto al loro inter-
no la pari considerazione? Speriamo,
senza illusioni, che ce la faccia Ségolène
Royale.
La ruota della vergogna
Ci sono aspetti della cronaca che, abituati come
siamo a "subire" piuttosto passivamente, tendia-
mo ad accettare come normali. Anche le donne
faticano spesso ad esprimere il loro punto di
vista, sarà perchè ci danno pochi spazi, che i
pochi li danno a chi ha punti di vista asessuati,
ma di "maistreaming di genere" nell'informazio-
ne ne vediamo piuttosto poco.
Come spiegarci altrimenti il successo mediatico
delle neo-istituite "ruote dei trovatelli"?
Anzi, ricordo il gran parlare, tutto positivo,
quando qualche direzione sanitaria di qualche
ospedale comunicò con orgoglio di averle intro-
dotte come fenomeno moderno per combattere
gli infanticidi, o l'abbandono di neonati.
Fenomeni questi, tristissimi, mai indagati nelle
origini vere, e verso cui mai si è sentito parlare
per prevenirli veramente. Invece, quando qual-
che settimana fa un bambino, per la prima
volta, è stato depositato nella ruota dei trova-
telli di un ospedale romano, tutti hanno gridato
al miracolo. E allora, tutti i notiziari ci hanno
descritto la nuova moderna ruota, tutta tecno-
logica, piena di sensori e confort. Qualcuno si è
stupito perchè il bambino di tre mesi era sano ed
evidentemente abituato al latte materno. Ma altro non ci hanno
detto. Tutti si sono complimentati con loro stessi per il successo dell'i-
niziativa. Credo che molte donne si siano sentite indignate da tutto
questo: io sono una di quelle. Ancora alla fine dell'ottocento partori-
re fuori dal matrimonio era reato penale, e le ruote servivano alle
donne per non andare in prigione, è questo che siamo ancora in grado
di garantire alle donne? La maternità è negata ma ci siamo puliti le
coscienze aggiungendo un po' di tecnologia alle ruote?
Del resto siamo in uno dei pochi Paesi del mondo dove non è ricono-
sciuto il diritto naturale di maternità: se si partorisce fuori dal matri-
monio il figlio è mio e posso uscire dall'ospedale dopo il parto con lui,
solo se lo riconosco davanti all'ufficiale dell'anagrafe. (e ancora in
molti ospedali per riconoscerlo occorre materialmente andare all'uffi-
cio anagrafe del Comune dove si è partorito). Senza questo atto il
bambino dopo dieci giorni dalla nascita viene dato in adozione auto-
maticamente, senza nessuna menzione della madre. Anni fa venne
smascherata una clinica di Roma che, approfittando proprio di que-
sta legislazione, aveva organizzato un traffico di bambini soprattut-
to ai danni di donne straniere. E questa norma non si riesce a cam-
biare: chi è contrario sostiene che favorirebbe l'aborto!
Nessuno gridando alla meraviglia della ruota dei trovatelli ha pen-
sato di offrire un aiuto concreto alla mamma che se ne è servita, né a
lei né alle prossime. E non parlo di maternità libera e consapevole, nel
medioevo presente sono termini fuori luogo. Basta tener pulite le
coscienze, del diritto di un bambino di crescere con la madre, e anche
con il padre magari, ne parleremo quando ci sarà tempo?
Alida Castelli
se lo Stato e la Chiesa si alleano
contro le donne...
Manet, Al pattinaggio, 1877 particolare