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Numero 9 del 2010

Dove vanno i consultori?


Foto: Dove vanno i consultori?
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Testi pagina 7

5noidonne | settembre | 2010
ATTUALITÀ
Con il matrimonio la donna diventava proprietà di quel-
lo che, a sua volta, acquistava il titolo di “capofamiglia”.
Anche questa denominazione è stata cancellata dal voca-
bolario italiano e non solo dal lessico giuridico dal nuovo
diritto di famiglia (1975) perché nega la libertà femmini-
le e le attribuisce il ruolo domestico virtuoso. Le altre don-
ne erano escluse e, ovviamente, se non erano “donne di al-
tri” da rispettare per patto fra (gentil)uomini, erano don-
ne pubbliche, potenziali puttane. I costumi si sono modi-
ficati in fretta, ma è rimasto lo sguardo mentale fisso sul-
la donna/oggetto e sulla donna/immagine.
Da qui le molestie e lo stalking, da qui la pubblicità, le ve-
line, la TV, i siti porno.
Puntuale l’attacco alla libertà femminile da parte delle for-
ze cosiddette cattoliche. A Roma la neoeletta Olimpia Tar-
zia - leader del Movimento per la vita, del Comitato per la
Famiglia, del Nuovo femminismo - ha presentato una pro-
posta di legge regionale di (dis)applicazione della 194 con
i dissuasori nei consultori, destinati a diventare portatori
dei valori della famiglia riproduttiva e possibili consulen-
ti della magistratura; potranno essere convenzionati con enti
di carattere non medico-sociale, ma “etico”… e quattro -
diconsi quattro - consiglieri PD, maschi e cattolici hanno
firmato questo scempio che ci informa sul futuro del fe-
deralismo.
Dal Vaticano non ci aspettavamo nulla, nonostante la ne-
cessità di riformare le norme canoniche dopo gli scanda-
li pedofili. I quali hanno, sì, favorito un sussulto di legali-
tà all’interno della Chiesa cattolica (anche se la pedofilia
resta un crimine contra mores e non “contro la persona”),
ma figuratevi se non ci hanno inserito qualcosa contro di
noi: tra i “delitti gravissimi” (più grave della pedofilia) c’è
l’ordinazione delle donne…
Spiegare giova fino a un certo punto. Non giustifica la ras-
segnazione sociale generalizzata, ma soprattutto non giu-
stifica la responsabilità politica perché chi fa le leggi deve
anche curarne la retta applicazione nel costume. Resta pe-
nosamente assente ogni autocritica dei maschi rispetto a se
stessi. E noi siamo sostanzialmente sole.
E lamenteremo che, tra i conti scoperti destinati ad esse-
re drasticamente esigiti sul piano economico, si registrerà
un altro passo indietro imposto alle donne come esseri uma-
ni, in relazione ai posti di lavoro, al precariato, alle pensioni,
ai mutui delle madri sole, ai debiti, alla spesa quotidiana…
Con la solita, oggi ancor più bruciante, contraddizione, dei
poteri che travedono/trascurano il soggetto, che pur sarebbe
il più necessario come partner attivo per superare i sacri-
fici sociali senza perdere totalmente i benefici generali. Con-
traddizione che non si risolve, perché il “partire da sé” fem-
minista non diventa il “partire da noi” degli uomini oltre
che delle donne. n
N
on è vero che sul far dell’estate aumenta la violenza
contro le donne. I femminicidi ci sono purtroppo tutto
l’anno, perchè gli uomini non “accettano” di essere ab-
bandonati.
Per fortuna non tutti gli uomini sono così, alcuni sono più at-
tenti ai diritti delle donne e addirittura loro paladini.
Eppure anche tra questi comincio ad avvertire strani e pre-
occupanti segnali.
Penso al caso che ho verificato durante un dibattito. Prima ci
sono state una serie di affermazioni di giovani uomini “poli-
ticamente corretti” consapevoli di aver maggiori opportunità
lavorative rispetto alle loro giovani colleghe e della necessità
di condivisione del lavoro domestico. Appena la discussione
si è approfondita e dall’analisi si è passati alle proposte per
le “azioni positive” - o meglio al concetto di “discriminazione
positiva” che meglio le illustra - improvvisamente sono arri-
vati segnali di insofferenza.
Anche perché le occasioni si sono ristrette per tutti, o per-
ché probabilmente manca la conoscenza delle leggi e dei con-
cetti che implementano le Pari Opportunità, e il disagio e il
vero e proprio dissenso cominciano a serpeggiare.
Il concetto di pari opportunità è chiaramente ben più com-
plesso di uguaglianza, non si possono concepire politiche
uguali per persone diverse, e quindi nei confronti delle donne
non si può parlare semplicemente di diritti uguali, ma di mi-
sure che devono rendere uguali questi diritti.
Quindi le misure per le donne devono contenere un fattore che
le differenzia da quelle degli uomini per recuperare, o tentare
di recuperare lo svantaggio iniziale. Alcuni esempi sono più utili
di altri per dimostrarlo: la clausola contenuta nell’art. 48 del
Codice delle pari Opportunità dove si dice, a proposito dei Piani
triennali di azioni positive (obbligatori nella Pubblica Ammini-
strazione ma ben poco diffusi) che “favoriscono il riequilibrio
della presenza femminile nelle attività e nelle posizioni gerar-
chiche ove sussiste un divario fra generi non inferiore a due
terzi. A tale scopo, in occasione tanto di assunzioni quanto di
promozioni, a fronte di analoga qualificazione e preparazione
professionale tra candidati di sesso diverso, l’eventuale scelta
del candidato di sesso maschile è accompagnata da un’espli-
cita ed adeguata motivazione”.
Ebbene davanti all’illustrazione di questo articolo, appena se
ne comprende la portata, vi è di solito una vera e proprio le-
vata di scudi: chi cita la meritocrazia, chi i diritti. E neppure
l’illustrazione dell’articolo 51 della Costituzione così modifi-
cato nel 2003 ottiene miglior fortuna.
Che pensare? Che anche gli uomini più sensibili alla prova dei
fatti non ci stanno? O che la conoscenza delle leggi è così su-
perficiale e quindi anche quelli che ci sostengono lo fanno
finché non capiscono?
Altri esempi e altre riflessioni prossimamente: ne vogliamo
parlare?
NOTE
AI MARGINI
di Alida Castelli
UOMINI
E PARI
OPPORTUNITÀ
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