Numero 5 del 2010
Non solo madri
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do le divisioni letali fra socialisti e co-
munisti, cercavano sia di mantenere
una qualche unità della sinistra, sia,
soprattutto, di avere uno spazio proprio
in cui esprimere idee che, più avanzate
non solo sulle questioni di genere, veni-
vano affermate dall'Udi e, puntualmen-
te, l'anno dopo, approdavano alle feste
dell'Unità. Poi, l'affermarsi del pensiero
femminista indusse l'Udi a reclamare la
propria autonomia, ovviamente non
condivisa dal Pci che confuse (forse non
senza qualche compiacimento) l'indi-
pendenza con lo scioglimento. Ma non
condivisa neppure da molte compagne
della "vecchia guardia". L'Udi entrò così
nel circuito del movimento femminista,
ma a ranghi ridotti, autofinanziandosi,
suscitando poca simpatia tra le femmi-
niste ostili al connubio con la politica.
Ma la conseguenza più grave fu la per-
dita di quello che era stato il requisito
più importante della sua peculiare fun-
zione, che non era quella di diventare
una scuola di pensiero tra le altre, ma di
essere l'unica associazione in possesso
di sedi in tutte le città, almeno grandi e
medie, e di poter verificare il senso delle
"differenze fra noi" su piano nazionale.
Questa fu una perdita, perché il collega-
mento venne meno, senza mantenere la
propria progettualità all'interno dell'os-
servanza ideologica del femminismo: a
mio avviso anche allora il problema
non era se sputare o no su Hegel oppure
parlare di empowerment.
Si poteva cercare la possibilità di
continuare uno stile più confacente sia
alle lavoratrici sia alle intellettuali, alle
quindicenni come alle pensionate. Offri-
re, insomma, una componente del fem-
minismo non competitiva sul piano in-
tellettuale, ma di decantazione delle in-
novazioni che avanzavano nelle realtà
plurali del genere. In quegli anni, anche
se non arrivavano più i finanziamenti
dei partiti, c'era una presenza dell'Udi
sul territorio a cui non sarebbe mancato
né l'appoggio istituzionale né la tenacia
delle donne nel mantenere in vita le se-
di locali. Oggi, a prescindere dalle mie
opinioni, occorre prendere atto che le
donne faticano di più per tutta la serie
di ragioni che purtroppo conosciamo
tutte. Ma proprio per questo occorre
chiedersi se tanto il femminismo dell'in-
tellighenzia, quanto le politiche di gene-
re siano in grado di pensare a come far-
ci uscire da un impasse così pesante: vi-
vere alla giornata o fare localmente
quel che si può nelle situazioni date non
basta... Anche perché non abbiamo da-
vanti solo teorie elitarie con cui misu-
rarci, ma restaurazioni di sistema che ri-
guardano tutte.
reti e relazioni vanno ricostituite per resistere
alle sconfitte del "divide et impera"
concetti e autori di Emanuela Irace
Piazza della Loggia e la stagione delle
stragi, tra omissis e ipocrisia di Stato
"La vergogna è un'emozione rivoluzionaria"
Marx
Sono passati 36 anni dalla strage di Piazza della Loggia. Era il 28 maggio 1974, nes-
sun sentimento di vergogna è stato espresso per una ferita ancora aperta, e un iter
giudiziario puntellato di assoluzioni. Morirono 8 persone e 94 furono ferite. La
bomba era stata piazzata in un cestino di rifiuti, sotto i portici, tra la gente che
assisteva a una manifestazione antifascista. Due anni fa, il 25 novembre del 2008,
nell'indifferenza generale dei media, è partito il terzo filone di inchiesta per i sei rin-
viati a giudizio: Pino Rauti, fondatore di Ordine Nuovo e suocero del sindaco di
Roma Alemanno; Delfo Zorzi, attivista nero scappato in Giappone; Francesco
Delfino, Generale dei Carabinieri legato ai vertici piduisti e radiato dall'arma per
aver intascato parte del riscatto nel sequestro Soffiantini; Carlo Maria Maggi,
Giovanni Maifredi, Maurizio Tramonte, nomi di spicco della galassia nera.
L'amnesia culturale, con cui stampa e politica stanno soffocando uno dei processi
simbolo della "Strategia della tensione", legittima l'opinione di continuità nella
mentalità di un paese che non ha ancora voltato pagina rispetto a uno dei periodi
più bui della propria storia. L'atteggiamento censorio e la rimozione collettiva sul
processo di Brescia non rinsalda quel senso di comunità e interdipendenza morale
che ci si aspetterebbe dalla politica di uno Stato nazionale sovrano. Eppure sem-
brava diversa quell'Italia in bianco e nero.
Era l'Italia dell'austerity e della crisi economica, dei mini assegni e della tv a due
canali, dello scontro tra industriali e sindacati, di Leone che diventa Presidente
della Repubblica grazie ai voti dell'MSI, dei campi paramilitari in cui si allenano
neo-fascisti, della domanda di rovesciamento istituzionale con opzione tra
Repubblica Presidenziale o giunta militare. Quell'Italia si dibatteva tra due visioni
del mondo. Tra una idea di autonomia nazionale e una di tutela all'interno di un
sistema di potere più vasto ed economicamente più attrezzato, capace di capovol-
gere scelte democratiche come in Grecia, Portogallo e Spagna. Il sospetto con cui
l'ultima democrazia mediterranea, insieme alla Francia, veniva vista oltreoceano,
diventava patente di impunità per gli attivisti dell'eversione nera. Nostalgici della
Repubblica di Salò, vertici dello stato e dei Servizi. Massoni e piduisti. Quattro ten-
tativi di colpo di stato in dieci anni: Piano solo (1964), Golpe Borghese (1970),
Golpe Rosa dei venti (1973), Golpe Edgardo Sogno (1974). E poi le stragi, tra il '69
e il '74: Piazza Fontana, Gioia Tauro, Peteano, Questura di Milano, Italicus.
È il capitolo buio degli anni '70, che attraverso il processo di Brescia cerca di scar-
dinare collusioni e depistaggi da parte di pezzi dello Stato, facendo emergere, per
la prima volta in un'aula di tribunale, l'implicazione di servizi segreti stranieri nella
"Strategia della tensione". Un sistema cinico e astuto, che attraverso la paura cer-
cava di realizzare un disegno politico: la richiesta di uno Stato autoritario e forte,
capace di mettere ordine e far uscire il paese dalla crisi. L'obiettivo dell'attentato di
Piazza della Loggia, secondo l'accusa dei pm Di Martino e Piantoni, erano i carabi-
nieri, che solitamente sostavano sotto quei portici. Un simbolo potentissimo, per
attrarre accuse contro la sinistra anarchica e far sprofondare il paese nell'autorita-
rismo. Ma non andò così. Quella mattina del 28 maggio 1974 pioveva e per lasciar
posto ai manifestanti i Carabinieri furono spostati nel vicino cortile della
Prefettura. Così le vittime furono solo civili.