Numero 9 del 2015
Diritto di famiglia 40 anni dopo
Testi pagina 7
5Settembre 2015
Salvini e Melloni; per non citare Le Pen, Fara-
ge e Alba Dorata. Intanto le socialdemocra-
zie del Nord Europa, ormai impossibilitate
a far crescere il benessere sociale, hanno
ceduto il governano alle destre e assisto-
no alla crescita di strani partiti: in Finlandia
i “Veri finlandesi”, in Danimarca il “Partito
popolare danese”, in Norvegia il “Partito del
progresso” (quello dell’attentatore Breivik), in
Svezia i “Democratici svedesi”; mentre nel-
la Germania dei cristiano democratici della
vecchia CDU è cresciuta l’Alternative fur
Deutschland temuta dalla Merkel e Pegida, il
Partito degli Europei contro l’Islamizzazione.
È la vecchia lebbra del nazionalismo che,
quando i tempi si fanno complessi, si fanno
forti della difesa dello “spazio vitale”, dispie-
gando la grande trappola in cui cadono gli
umani istinti egoistici quando si diffondono
paure e insicurezze.
L’Unione non era un’utopia nemmeno per
i fondatori della Lega della Pace e della
Libertà che, nel 1867, volevano una fe-
derazione repubblicana europea e una
Costituzione comune per prevenire le
guerre e rappresentare una garanzia di
pace fra le nazioni. Se pensiamo al titolo
della loro rivista, Les Etats-Unis d’Euro-
pe, ci domandiamo perché abbia avuto
così poco ascolto la Carta di Ventotene
e perché Altiero Spinelli in quel Parla-
mento europeo eletto nel 1979 con così
grandi speranze, si trovò con le mani le-
gate dal prevalere dei poteri decisionali
del Consiglio dei capi di governo, quasi
una troika, e si dovette educare alla pa-
zienza. Ma i profeti anche se hanno vita
dura, restano “i saggi”; il guaio, anche
per loro, è quando la saggezza sembra
incompatibile.
Le donne hanno saggezza secolare, non
vorrebbero mai risolvere i problemi con le
sfide (e le guerre), non amano i debiti, han-
no loro ricette per superare i sacrifici, sanno
che la solidarietà è un interesse e non una
virtù. Ma quando stanno nelle Università,
nelle dirigenze d’impresa, nei partiti, movi-
menti e governi si ritrovano così imbevute
del pensiero unico che dimenticano di cer-
care idee nuove nella loro antica cultura di
genere. Peccato. b
Chissà perché il potere attrae tanto. Anche se non viene definito così, ma col sotto titolo di obiettivo,
certe volte si osa fino a ‘bene comune’.
Forse perché il ‘potere’ sa di arrivo, ric-
chezza, onore. Che a pensarci bene, cosa
sono se non prigioni? Quando ero piccola
ero un’accanita lettrice del settimanale
Gente. Ricordo bene che di sabato pome-
riggio andavo a comprarlo all’edicola, a
piedi, tornavo, mi buttavo sul divano e mi
immergevo.
Era decisamente filo monarchico, molto
concentrato sulle storie del Principato di
Monaco e dei reali d’Inghilterra, ma nel
mio mondo allora contenuto non me ne
rendevo conto. Mi imbattevo nel rigore
e nella vedovanza di Carolina, nella tra-
sgressività di Stefany, nell’aplomb del fra-
tello, di cui francamente, al momento in
cui scrivo, non ricordo il nome. E ancora
nella frustrazione di Lady Diana e nell’in-
sulsaggine di Carlo. E già pensavo, allora,
‘porca miseria che brutte vite che fanno,
sempre a controllare cosa mangiare, cosa
dire, sempre con questi balli di beneficen-
za....’. E potevo avere 10 anni, ma la sen-
sazione che le foto e gli articoli mi riman-
davano era di stanchezza, oppressione.
Poi col tempo, con l’adolescenza prima e
la maturità poi, ho decifrato. E mi è sta-
to chiaro che già allora, per me, il potere
è la più claustrofobica delle gabbie. Ora
faccio la giornalista e non leggo più solo
Gente.... ma scherzi a parte, il sentimento,
l’approccio, è rimasto immutato. Guardo
la Merkel e mi chiedo ‘ma chi glielo fa fare
di essere sempre sotto l’attenzione di tutti,
di assumersi responsabilità per altri Paesi,
per interi popoli, quando è già così difficile
farlo per uno di famiglia?’. E non entro nel
merito delle decisioni politiche che non
riguardano ...Santippe. Poi guardo Renzi,
che perdonatemi ma a me ricorda tanto
Pozzy, neanche Fonzy, l’amico di Ricky
Cunningham in Happy Days. Chi lo fa fare
a uno di neppure 40 anni di sentirsi tanto
‘potente’ e sicuro da sollecitare un politico
di lungo corso come Letta a #staresere-
no? E mi fermo qui. Il fatto è che il nostro
feudo lo abbiamo tutti. Chiunque di noi,
in qualsiasi contesto, una fetta di ‘potere’
l’ha. Ma è altrettanto vero che più avanzia-
mo più siamo deboli. Perché il potere ren-
de vulnerabili. Bisogna non avere scheletri
nell’armadio, bisogna imparare a vivere
centellinando la fiducia verso gli altri, bi-
sogna depauperarsi di autenticità. Perché
raggiunto un traguardo bisogna guardare
oltre, per arrivare in cima. Poi, quando si è
arrivati, e si guarda in giù, dall’alto in basso
- perché questo è il potere - cosa si vede se
non la propria solitudine? Una volta che lo
si tocca, il potere, come lo si può esercitare
‘bene’? Come lo si può mantenere accon-
tentando tutti? Perché il mantenimento,
implica il consenso, che implica il compro-
messo. Poi penso a gente come Falcone e
Borsellino, che avevano potere, lo hanno
esercitato consapevolmente, credendo in
quel che facevano e scontentando i ‘più’,
sapendo che avrebbero potuto morirne,
come è stato, e non sento mai nessuno dire
‘vorrei essere come loro’. Ecco, è questo il
punto, non si associa più il potere alla re-
sponsabilità che comporta. O lo si fa poco,
troppo poco. E così il potere, reali a parte,
è diventato uno dei più grandi inganni di
cui subiamo il fascino.
di Camilla Ghedini
POTERE E RESPONSABILITÀ
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