Numero 4 del 2016
Europa (in)difesa. Barriere politiche e culturali
Testi pagina 7
5Aprile-Maggio 2016
doveva significare maggior rappresentati-
vità. Viene accusata di voler “dare la linea”
al movimento, di banalizzare per andare
incontro alle non-femministe, di diluire il
“potenziale rivoluzionario” mancherà in-
somma il riconoscimento, mancherà la
solidarietà alla portata politica della rivista.
Troppo grande la difficoltà di chi muoveva
dall’autocoscienza, dal partire da sé (ma
non era per capire come coniugare le
differenze tra noi), da un’aspirazione all’o-
mogeneità per il solo fatto di essere l’Altra.
Per questo rifiutava l’istituzione che, per
essere stata (e continuare ad essere) ordi-
nata al maschile, era estranea al pensiero
delle donne. Voler destabilizzare il mondo
dell’informazione senza avere un progetto
alternativo - per esempio, anche nella di-
stribuzione - non solo era un handicap, ma
rischiava di risolversi in un adeguamento.
E anche “Effe” fu assorbita dal “sistema”.
Nei decenni successivi molti altri gior-
nali potrebbero essere citati, dal setti-
manale “Il Paese delle Donne” (che inizia
la sua avventura nel 1985 e che oggi è on
line) a “Marea”, che ha festeggiato di re-
cente venti anni di pubblicazioni. L’esem-
pio della stampa femminista degli anni
Settanta a Roma è molto parziale, ma in-
dicativo. Negli anni e in molte città e paesi
le iniziative sono state tantissime, ma as-
sai poche di rilievo nazionale, consultabili
pubblicamente e archiviate. Oggi molto
viaggia su rete, anche qui con dubbi sulla
futura conservazione dei materiali.
“NOIDONNE” continua. È la sola che ce
l’ha fatta su piano nazionale, senza ce-
dere ai rotocalchi, senza prendere posizio-
ni femministe di scuola, tenendo la testa in
ordine in un mondo che sta sfuggendo ai
controlli e in cui le donne rischiano assai.
Ha sempre mediato in mezzo alle contrap-
posizioni sociali, alle mode, agli interessi
politici e alle istituzioni democratiche (de-
mocratiche sì, ma quanto inclusive del no-
stro desiderio?). Fa parte della storia e per
questo sente il diritto di essere sostenuta
dallo Stato. Ma, soprattutto, proprio men-
tre il mondo cambia radicalmente e “NOI-
DONNE” vuole esserci, dalle donne che
ne sentono la voglia. Fino a quando? b
Il 28 febbraio, a Ferrara, la mia città, ho avuto modo di intervistare e ascol-tare Krysztof Charamsa, l’ex Ufficiale
della Congregazione per la Dottrina della
Fede, che lo scorso 4 ottobre, alla vigilia
del Sinodo, ha fatto coming out, rivelando
‘in un botto’ di essere omosessuale e avere
un compagno, Eduard, da 16 anni. Apri-
ti cielo. Non solo per la Chiesa, che lo ha
allontanato impedendogli il sacerdozio,
ma anche per me, che in quei giorni ho di-
chiarato apertamente tutto il mio sdegno.
Nella tempistica l’operazione mi sapeva
di marketing. A peggiorare la situazione
l’annuncio di un libro in uscita, che mi to-
glieva ogni dubbio. Una bella mattina ho
messo nero su bianco la mia indignazione
su Fb, il luogo in cui oggi facciamo passare
tutti il ‘Verbo’. La Bibbia fai da te, per ca-
pirci. Poi la vita me lo ha fatto incontrare e
ho rivisto il mio giudizio. Ho rivisto la mia
stessa etica. Ho rivisto un modo di pensare,
il mio, profondamente laico, in cui c’è sem-
pre un’altra strada da percorrere, quando
la mia non mi entusiasma più. Sentendo
la sua voce, guardandone la postura e i
movimenti, mi sono chiesta che diritto ho
io di non credere al calvario di chi ha fede
e al tempo stesso vuole vivere appieno. Io
che pure l’ho, la fede, e non per questo sono
bigotta. Lui è stato chiaro: ha sempre sapu-
to di essere omosessuale ma non cercava
un rifugio. Ha parlato dell’omofobia nella
Chiesa, che ti costringe ad odiare te stesso
e tutti quelli che hanno il coraggio di esse-
re felici. E ha messo in relazione la paura
dell’omosessualità con quella della donna,
che la Chiesa considera inferiore e al ser-
vizio dell’uomo, tant’è che alle mogli che
subiscono violenza, nel segreto del confes-
sionale si consiglia di pregare e perdonare
il marito. Non ha risparmiato Papa Fran-
cesco, cui imputa la grande responsabilità
di avere lasciato alla politica il dibattito sul
ddl Cirinnà, poi snaturato con stralcio del-
la stipchild adoption. Ha definito il celibato
un crimine, in quanto non scelta. Io, giuro,
ero ipnotizzata. Ho ‘relativizzato’ le mie
posizioni ‘assolute’. E così dopo il Diluvio
ho fatto un bel bagno di umiltà. Ha ragione
lui, la sua battaglia non poteva farla ‘dentro’
la Chiesa. Ha ragione lui a rivendicare il do-
vere di non rinnegare se stessi. Ha ragione
lui a non negare il bisogno di amore, che
passa anche per il corpo, non prendiamoci
in giro. Lo avrei ascoltato per ore, perché
raramente le persone sanno parlare tan-
to intensamente, con semplicità, cultura
e senza retorica. Certo, io non posso mi-
surare il grado di autenticità di ogni sua
esternazione. Ma neppure posso immagi-
nare il suo tormento e conflitto interiore.
E neppure sminuire una necessità di uscire
dall’armadio, come ha esemplificato lui,
che prima di essere libertà è liberazione.
Ha dichiarato di essere felice, con Eduard,
Krysztof Charamsa, e io glielo auguro,
perché la felicità fa bene a tutti. Meglio un
uomo appagato che sappia parlare alla gen-
te, mantenendo la propria fede e sapendola
trasmettere, che uno frustrato, in qualsiasi
contesto, Chiesa compresa. Non so se mi
sono ricreduta al 100 per cento, ma so che
ho un forte dubbio, che assomiglia alla spe-
ranza di avere inizialmente sbagliato opi-
nione. Sarebbe davvero bellissimo.
di Camilla Ghedini
CHIESA E OMOSESSUALI.
LA BELLEZZA DEL DUBBIO
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