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Numero 1 del 2010

2010 non ci resta che ridere


Foto: 2010 non ci resta che ridere
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Testi pagina 7

noidonne gennaio 2010 7
za nella nomina di una presidente (Bin-
di), di un segretario (Bersani), di due vi-
cepresidenti uomo e donna (Sereni e
Scalfarotto).
Anche la segreteria sembra rigorosa-
mente paritaria: 6 a 6, ma con un coor-
dinatore uomo. Uomo anche il tesoriere.
Poi, la frana. Commissione di garanzia:
2 donne e 7 uomini; Segreterie regionali:
2 donne e 19 uomini; Presidenze dei fo-
rum: 3 donne e 19 uomini...
Ovvio che qualcuno dirà che lo sta-
tuto consente queste (s)proporzioni; ma
non è così che si fa quella democrazia
che comprende le donne e fa sì che in
molte desiderino partecipare (attual-
mente ci si rinfaccia che è difficile tro-
vare donne da mettere nelle liste eletto-
rali perché le donne "si negano", come se
fossimo così stupide da fare le seconde
parti senza benefici).
Ma anche a livello locale le cose
sembrano tornare al gioco dell'oca: nel
coordinamento regionale dell'Emilia ci
sono 2 donne e 9 uomini, nell'esecutivo
su 17 membri le donne sono 7, mentre
dei 4 invitati permanenti una sola è
femmina.
A parte le congratulazioni, qualcosa
non funziona. Che cos'è per le donne un
partito? Che cosa una leadership, le for-
me istituzionali, le regole? Ovvio che
stiamo in contesti che accettiamo senza
difficoltà (oppure no: con molte difficol-
tà); ma il problema è capire quali sono
le conseguenze di una logica femminista
applicata alla politica.
Che cosa vorremmo? Scommettere su
D'Alema agli esteri dell'Unione europea
perché è italiano e per giunta Pd e non
sulla sconosciuta Catherine Ashton? Es-
sere rappresentate da donne che non so-
no state scelte dalle donne? Anche da
donne che, per obbedienza al partito,
votano contro la RU 486?
Che cosa significa, da un punto di vi-
sta femminista, "fare politica"? Replica-
re la storia in veste rosa? Oppure ripen-
sare i valori dello stato, dell'economia,
del privato e del pubblico (che non sono
il personale e il politico).
Viviamo la fine di un'epoca storica e
non abbiamo certezze sul nuovo che
verrà, ma è sicuro che dovremo innova-
re quasi tutto. Le donne hanno più faci-
lità a proporre ristrutturazioni e diversi-
ficazioni, anche perché non sono state
loro ad avere la responsabilità inventi-
va delle strutture vecchie. Sarà difficile,
ma se vogliamo cambiare il mondo, va-
le la pena di contribuire con nuove ana-
lisi e nuove teorie.
Divertiamoci un poco nel 2010!
il potere di cambiare non deriva solo da un'effettiva
rappresentanza, ma anche da un modo nuovo di intendere
responsabilità e scelte elettorali
Lo stupro delle Sabine
Fin dal secolo scorso da diversi
studiosi è stata avanzata l'ipotesi,
osservando il periodo che va dalla
preistoria alle prime forme di scrit-
tura (protostoria), che intorno al V
millennio a.C. si sarebbero svilup-
pate delle società matriarcali, civil-
tà prive di centri di potere domi-
nanti, che non conoscevano l'uso
delle armi e non avevano fortifica-
zioni. Sulla base dei documenti che
sono stati raccolti si è potuto pro-
spettare che erano società pacifi-
che e ordinate in un sistema politi-
co governato da donne.
Queste forme di società scompar-
vero intorno al 1.500 a.C. quando
presero il sopravvento popoli nati-
vi della Russia meridionale e del
Mar Nero, che imposero con la
forza una cultura basata sull'eserci-
zio della violenza e della prevarica-
zione.
Nel 753 a.C. fu fondata Roma;
Romolo, dopo avere ucciso Remo
suo fratello gemello, divenne unico
e incontrastato Re di Roma, la for-
tificò e la rese militarmente forte.
Per mantenere e conquistare altri
territori aveva l'esigenza di un eser-
cito molto più numeroso di quello
esistente, aveva la necessità di
aumentare in breve tempo il livello
demografico, ma le donne in età
fertile non erano sufficienti a esau-
dirne il bisogno. Ed è col ratto delle
Sabine che il problema viene risol-
to. È con un grande stupro colletti-
vo che inizia la "Civiltà Romana",
una società fondata sull'esercizio
della violenza come sistema di con-
trollo, sopraffazione di un genere,
quello maschile, sull'altro genere,
quello femminile.
Rosanna Marcodoppido, dal sito
web dell'UDI, lancia una interes-
sante proposta di cui riporto alcuni
passaggi "Facciamo un appello al
Presidente della Repubblica, garan-
te della Costituzione, e al
Presidente della Camera dei
Deputati perché si vada ad una
seduta straordinaria del
Parlamento in cui si avvii una seria
discussione per rileggere il senso
più vero del ratto delle Sabine che,
da mito fondativo di cui essere
orgogliose/i, diventi quello che è
sempre stato: violenza contro le
donne e loro esclusione dai luoghi
delle decisioni, cioè il peccato ori-
ginale della nostra cultura e della
nostra democrazia. […] Dunque da
mito fondativo a peccato originale:
questa sì che sarebbe una assun-
zione di responsabilità e una presa
di distanza dalla violenza maschi-
le..."
Questo è un nodo che va assolu-
tamente sciolto: le pratiche violen-
te ammorbano tutta l'umanità e in
primis le donne, impediscono la
possibilità di creare le condizioni
per un futuro pacifico e rispettoso
verso tutti gli esseri viventi. La
Storia stessa ce lo insegna.
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