Numero 3 del 2009
Una festa nella crisi: lotta marzo
Testi pagina 6
marzo 2009 noidonne6
Meglio seguire la radio che non la tv.Dopo le 23,30 Radio3 sta man-
dando in onda interessanti interviste a
testimoni di storie che potremmo crede-
re superate: sul tema della prostituzione
riandavano a com'erano "le case" prima
della legge Merlin uomini che le aveva-
no frequentate e donne che ci lavorava-
no. Un'altra inchiesta sulle miniere del-
la Sardegna ha fatto sentire la voce, ol-
tre che dei minatori, di donne intelligen-
ti che raccontavano com'era, fino a tut-
ti gli anni Settanta, la peggiore delle
condizioni di lavoro. Lavoro
da uomini, che coinvolgeva le
donne nella "cura" più tragi-
ca: nessuna sapeva, ogni gior-
no, se l'uomo che accompa-
gnava alla porta e a cui ave-
va lavato i piedi la sera prima
sarebbe tornato. Questione af-
fettiva, ma anche di paura,
della povertà, della fame dei
figli. Quando un minatore
aveva un incidente, erano i
compagni che andavano alla
sua casa incapaci di dire subi-
to la verità della morte; ma le
vicine che arrivavano con i
drappi neri a coprire i mobili
toglievano le speranze. Se "l'ingegnere"
licenziava un minatore che faceva poli-
tica, toccava alla donna andare con il
figlio in braccio a supplicare di non ri-
durre alla fame una famiglia. Il lavora-
tore sindacalizzato e dimesso poteva
trovare un posto se la moglie lo racco-
mandava al parroco, ma quando il
nuovo datore verificava la ragione del
licenziamento anche il nuovo posto era
precluso. Uno fortunato poteva arrivare
alla pensione, ma con i polmoni man-
giati dalla silicosi e dipendente più che
mai dall'assistenza della sua donna.
Erano gli anni Sessanta e Settanta del
secolo scorso: c'erano i patti aziendali,
gli scioperi delle miniere, la polvere ne-
ra, le paure, la fame dentro le case. Le
donne non lavoravano, ma conosceva-
no tutto del lavoro; non facevano poli-
tica in prima persona, ma, nere e vela-
te, erano ben consapevoli di ciò che fa-
cevano nelle file di protesta davanti al-
la miniera.
Le donne che, invece, negli stessi an-
ni lavoravano nelle regioni italiane più
avanzate (e che si impegnavano in ogni
lavoro, anche i più duri, come la monda
del riso) partecipavano alle lotte del la-
voro sia insieme con gli uomini, sia da
sole, per interessi propri che non si chia-
mavano "di genere" ma che comprende-
vano i diritti di maternità, la parità sa-
lariale (legge solo dal 1977), la scuola
dell'infanzia (allora detta "materna",
definita nel 1968), l'estensione dei bene-
fici alla lavoratrice agricola, la pensio-
ne alle donne.... Lottavano per l'emanci-
pazione. Parola difficile in seguito
emarginata dal lessico femminista. Ma
propria - e con onore - della storia del
nostro paese. E proprio della storia del-
la differenza. Perché le donne erano sub-
alterne davanti alla legge e usavano per
le loro rivendicazioni il termine che ri-
evocava l'uscita dalla schiavitù: si
"emancipavano", come gli schiavi, i la-
voratori, i popoli oppressi dal coloniali-
smo. Non erano libere: lo sapevano bi-
snonne e nonne, mogli di minatori o la-
voratrici nelle fabbriche del Nord o emi-
grate, che andavano a manifestare a
Roma pagandosi il lusso di perdere una
giornata di paga.
Se c'è una critica da rivolgere a gran
parte del femminismo, in un momento
di crisi, è quella di non aver percepito
che la propria novità si inseriva nel flui-
re della storia delle donne che pratica-
mente da sempre lottano per la propria
libertà. Storia che è stata delle operaie e
delle casalinghe e che continua ad es-
serlo, anche se, come donne, non sap-
piamo più - ma non lo sa nessuno - co-
me configurare i nuovi problemi. Forse,
nonostante il pensiero teorico femmini-
sta fosse un'urgenza assoluta, abbiamo
peccato di presunzione, di autoreferen-
zialità. Pensando di fondare una politi-
ca delle donne abbiamo fatto solo un
po' di teoria politologica minoritaria.
Per fare politica, infatti, non basta l'in-
tellettualità: non si va da sole. Tanto
più che, anche teoricamente, siamo
sempre state ben convinte di formare un
genere, non un'élite. E di avere problemi
comuni. Oggi mi sembra necessario re-
cuperare pensiero su due piani che intri-
gano tutte, intellettuali comprese: il la-
voro e la famiglia, due situazioni che ri-
schiano di riassorbire anche
noi (e certamente le nostre fi-
glie) nella regressione.
Il lavoro non è più come una
volta: lo sfruttamento del "pa-
drone" è diventato - dopo esse-
re passato attraverso una rego-
larizzazione che ha consentito
un agio ritenuto irreversibile -
precariato. La dominanza ses-
suale, che permetteva conces-
sioni "allegre" alle aggressioni
dei maschi, ha attraversato il
periodo dignitoso dell'impegno
contro le molestie sessuali: ora
il campo è stato ceduto al mob-
bing neutro. E gli stupri non
hanno più a che vedere con la fabbrica.
Le giovani sentono sempre più di vo-
ler lavorare come i maschi. Altrimenti
perché in tutte le classifiche scolastiche
sono migliori di loro? Ma neppure il pre-
cariato, al femminile, è uguale a quello
maschile.
Facciamo due conti con la vita di
una commessa: meno di mille euro, ora-
ri prolungati, la Rinascente ha perfino
tolto gli sgabelli alle vendite; per fortu-
na una nonna si accolla la bambina,
ma un nonno con l'Alzheimer richiede
una badante. Sapete che una così è una
che - una su cinque - rinuncia al lavoro
perché preferisce badare alla figlia e al
nonno? E sapete che un segretario Cisl
mi ha detto di avere paura, perché le
giovani che credono positiva la vita di
casa, ne traggono tale frustrazione da
mandare a rotoli l'equilibrio della fami-
glia?
Non abbiamo proposte da mettere su
in cinque minuti, ma dobbiamo fare
mente locale sui problemi che ci sono
spuntati attorno senza che ce ne accor-
gessimo e ci intercettano. Anche in que-
I lavoratori hanno da perdere,
le lavoratrici di più
Tempo di crisi
Giancarla Codrignani