Numero 6 del 2010
Spot! Pubblicità & dignità
Testi pagina 6
giugno 2010 noidonne6
Trovo su una rivista di nicchia, editada un Società cooperativa di Forlì e
nota a certa intellighenzia italiana - si
chiama Una città - un'intervista a Ma-
rina Piazza a proposito di "un'indagine
sul perché tante donne decidono di la-
sciare il lavoro entro il primo anno di vi-
ta del bambino". Forse è un segnale che
ci può sfuggire, anche se appare rile-
vante.
Il servizio parte dal caso di una diri-
gente dell'impresa Red Bull, invitata a
lasciare l'azienda dopo la maternità.
Piazza spiega ri-raccontando il pregiu-
dizio sulla lavoratrice che, quando di-
venta madre, "non rende più come pri-
ma". La responsabilità non è necessaria-
mente delle ottime condizioni di tratta-
mento della maternità ottenute dalle
donne con le loro lotte; ma resta vero
che, siccome nel primo anno di vita del
bimbo viene mantenuta la copertura sa-
lariale per sei mesi, l'ultima statistica
Istat rivela che il 13% delle neomamme
si dimette spontaneamente.
Tuttavia "la scorciatoia non paga",
perché "dopo" viene la dura esperienza
della difficoltà di tornare sul mercato
del lavoro, che ha due esiti: chi ci torna
rischia il "mobbing strategico", chi resta
fuori rischia la depressione. Anche per-
ché la mamma "desidera senz'altro sta-
re con il proprio bambino, ma non tutti
i giorni 24 ore su 24". Qui si innesta una
prima questione: le ragazze stesse forse
non se ne accorgono, ma perfino quelle
che ci dicono che è meglio trovare un
marito ricco e fare la casalinga non pen-
sano assolutamente di diventare come
le loro madri. L'indipendenza contempo-
ranea non passa solo, come un tempo,
attraverso l'affermazione di sé nel lavo-
ro retribuito, ma sta ormai nella testa:
le abitudini sociali delle giovani e gio-
vanissime sono quelle di conoscere un
sacco di gente, di non rendere mai con-
to di dove si va, di stare con gli amici in
mezzo alla movida... La casa, pur ama-
ta, non basta più alla generalità - non
tutte, per carità - delle giovani: starci
dentro senza entrarci e uscirne libera-
mente (come poi diventa praticamente
necessario), è una frustrazione che può
comportare addirittura la crisi degli
equilibri familiari e di coppia. Infatti,
dice Piazza, "nessuna di queste donne
aveva pensato alla maternità come al-
ternativa al lavoro". Tutte, probabil-
mente, credevano che, quando il gover-
no giura di mettere al primo posto gli in-
teressi delle famiglie e il ministero del
Lavoro con quello delle Pari Opportuni-
tà scrive un documento (Italia 2030)
per sostenere che ci vogliono più donne
al lavoro, parlassero sul serio. Tutte, in-
fatti, "vogliono lavorare bene ed essere
delle buone madri".
Tanto per chiarire quanto contino in-
nocue demagogie e buone intenzioni, si
parte dall'esempio di una signora che,
per collocare il piccolo al nido - che
apre alla stessa ora dell'azienda a cui ri-
torna dopo aver partorito - arriva al la-
voro con "otto minuti" di ritardo, con le
conseguenti minacce di licenziamento,
le angherie, mentre il sindacato sembra
debole e la Consigliera di parità cerca
di attivarsi. Dopo lunghi tempi di fru-
strazioni, alla fine vince, anche se con
un part-time, mentre il suo bisogno era
l'orario completo. Commenta Marina
Piazza: "Sono vent'anni che parliamo di
conciliazione, di orari flessibili, di part-
time, eccetera, possibile che le aziende
siano così impermeabili?". In altri paesi
ci sono formule di flexi time all'ingresso
e all'uscita che consentono di giocare
l'orario con mezze ore di elasticità.
Sarebbe ora di applicare con maggior
attenzione forme alternative o comple-
mentari: il job sharing, il part time, al-
tre esperienze di flessibilità, anche scan-
dite sull'arco della vita lavorativa. An-
che perché non c'è più il modello fordi-
sta che, pare impossibile, domina anco-
ra quasi solo da noi... Anche il sindaca-
to non ne esce: "sulla legge 53 non ha
mai proposto qualcosa di nuovo" perché
non riesce a guardare il mercato - e tan-
to meno il welfare - "con gli occhi delle
donne". È vero che lo stesso mondo fem-
minile per anni ha ritenuto il part time
un lavoro dequalificato, non totalmente
dignitoso; ma oggi le donne hanno mo-
tivato le ragioni di un'opzione che può
essere vantaggiosa per entrambi i generi
in situazioni date. Invece negli ultimi
cinque anni "il 91% di tutto l'aumento
di occupazione femminile è dato dal
part-time, ma non volontario, bensì im-
posto dalle aziende". Il welfare appare
così ancora "tutto costruito su base la-
voristica e il concetto della cura, che è
un pilastro della società, non ha alcuna
cittadinanza".
Personalmente sono convinta che
non sarebbe difficile capire che le donne
hanno un'esperienza tale della "flessibi-
lità", se è vero che riescono a tenere in-
sieme tutti i pezzi di vita, che dovrebbe
renderle specialiste ricercate, da consul-
tare per uscire dalle rigidità di processi
ormai definitivamente compromessi. In-
vece, evidentemente, per il pensiero uni-
co deve essere difficilissimo anche capi-
re che cosa proponiamo.
Sembra inventata la sentenza della
Corte Costituzionale del 1969 sulla dis-
parità di trattamento fra uomini e don-
ne nel trattamento pensionistico che di-
ce: "l'attitudine al lavoro, in linea di
massima, viene meno prima nella don-
na che nell'uomo, perché questa ha me-
no resistenza fisica, e d'altro canto è op-
portuno che la lavoratrice torni ad ac-
cudire esclusivamente la famiglia, dato
che occorre limitare nel tempo il periodo
di distrazione dalle cure domestiche".
(Prego sottolineare il termine "distrazio-
ne" che, riferito al lavoro in opposizione
alla domesticità, la dice lunga sul giu-
dizio degli autorevolissimi giudici sulle
competenze familiari). Tuttavia, che nel
1969 sopravvivesse il pregiudizio sessi-
sta nella vetustà dei tribunali, passi; ma
sorprende che ancor oggi il sindacato -
che pure ha i suoi problemi di innova-
zione - non pensi di rinnovarsi partendo
da ciò che considera marginale, vale a
dire quegli interessi di genere che do-
…dietro le quinte della libertà?
"Lasciare" il lavoro…
Giancarla Codrignani