Numero 3 del 2007
Mimosa e non solo
Testi pagina 54
marzo 2007 noidonne54
Per parlare della fondatrice del fem-minismo italiano - Carla Lonzi
(1931-1982) - alle lettrici di 'noidonne'
posso permettermi il lusso di tralasciare
i dettagli della sua biografia ed andare
al dunque di quello che mi preme dire a
proposito di lei: la tensione di vita, in-
tensità e autenticità del suo percorso di
liberazione fatto di molti e sofferti "pas-
saggi di esperienza".
Dal 1972 al 1977 Carla scrive un
diario (da lei stessa pubblicato nel
1978) in cui giorno dopo giorno annota
il dramma quotidiano della propria vi-
ta, non per "far quadrare il cerchio"
quanto per dare corpo all'espressione di
sé. Per dirla con le sue parole: "…le don-
ne osano mostrare il risultato del loro
pensiero, ma non il dramma della pro-
pria vita. Neppure a se stesse. A me in-
vece interessa in che modo, attraverso
quali passaggi di esperienza, quali ge-
sti, tono, decisioni, conflitti, si arriva a
quelle conclusioni".
Tutta "la tensione della propria vita"
è stata protesa a sperimentare percorsi
di liberazione possibili, mettendosi in
gioco interamente. Percorsi narrati nelle
pagine del diario per comprenderne me-
glio il senso e, se necessario, modificar-
ne il tragitto: non rinunciando mai a
"mettere in scacco i propri pensieri uno
a uno", come scriveva all'inizio del suo
percorso femminista nella poesia che
avrebbe poi dato il titolo alla raccolta
poetica: "scacco ragionato".
La sua esperienza di affrancazione
personale, che cammina di pari passo
all'"avventura di capirci qualcosa", è
continua, inesauribile e mai
scontata, perché sempre in con-
tatto con la concretezza, e con
l'imprevisto, della vita. Contat-
to che le ha permesso di stare
su "un'altro piano", e di accor-
gersi dei limiti di ogni ideolo-
gia, e della complessità di una
liberazione femminista, che
prenda corpo dalla autentica
messa in discussione dei miti
patriarcali, a partire dai condi-
zionamenti (o ambizioni) pre-
senti in noi stesse e della diffi-
coltà a liberarcene.
"Muoversi su un altro piano:
questo è il punto su cui difficil-
mente arriveremo ad essere ca-
pite, ma è essenziale che non manchia-
mo di insistervi". Solo ponendosi su un
altro piano è possibile fare perdere alla
cultura patriarcale "la certezza della
sua opera". L'altro piano è quello che va
oltre la polemica diretta, la contrappo-
sizione, e che privilegi percorsi di auten-
ticità, "smantellando i miti e trovando
dentro se stessa la propria integrità": "ci
vuole più forza a mostrarsi spogliate
che a barricarsi dietro la parola consa-
crata; ci vuole forza ad avere il corag-
gio della semplicità".
Nel diario le "fasi di esperienza" tra-
pelano senza filtri, in uno sforzo co-
stante di "vedere le cose come stanno".
Lei stessa ne parla come "una specie di
vergogna quotidiana, privatissima…
non spedivo la maggior parte delle let-
tere in cui parlavo di me… perché in-
cepparmi anche lì era angosciante, co-
me angosciante era accorgermi che gira
e gira finivo per volere e sapere parlare
solo di me. Scoprire questo bisogno irre-
frenabile mi umiliava…". E al tempo
stesso ne afferma la vali-
dità: "Il diario, la presa di
coscienza rende tutti
uguali. Tutti fragili, tutti
ugualmente intelligenti e
stupidi, ingannati, ingan-
nabili, umiliati dalla sco-
perta del trave nel proprio
occhio. Nessuno sfugge a
questo. Nel diario Hegel e
io siamo uguali. Anche
Cristo che, sudando san-
gue dice "L'anima mia è
triste fino alla morte" e
soffre perché gli amici lo lasciano solo
nell'imminenza del martirio, è uno come
me".
Questa identificazione con Cristo e
con Hegel (di cui Lonzi è attenta lettrice
e su cui ha scritto il saggio "Sputiamo su
Hegel") non è un atto di presunzione in-
tellettuale bensì la conseguenza di pro-
cessi continui di approfondimento, sma-
scheramento e ricerca di sé, consapevo-
le dell'inganno che si può celare dietro
ogni risposta trovata. In "Armande sono
io", pubblicato postumo, scriveva: "nel-
la vita ci sento di questi momenti in cui
sei costretta a spogliarti non solo dei ve-
stiti, come a dire di un'identità più con-
venzionale e sociale, fino a restare nu-
da, ma poi anche quella nudità va so-
stituita con un'epidermide più fresca,
più sensibile, meno coriacea. Ti rinnovi
anche all'interno della tua identità più
vera".
Ecco perchè Carla preferiva usare il
termine liberazione che, a differenza di
libertà, implica l'idea del processo, del-
l'aspirazione, che non si accontenta del
primo obiettivo raggiunto. "Quello che
manca - scriveva nel diario - è proprio
l'autocoscienza e il passare attraverso
tante fasi. Ognuno sembra incarognirsi
in una che diventa sua tipica".
E ancora, paragonandosi poetica-
mente a Teresa D'Avila scriveva nel dia-
rio, il 6 febbraio 1974: "Mi ritrovo nei
tormenti/interiori senza perché/nei pati-
menti e nei dubbi/generati dall'anima
stessa/via via che cresce./Lei si chiede-
va/Proviene da Dio o dal Demonio?/E
io: Sono me stessa?/Si ammalava mori-
va/di quella pena poi risorgeva/e sgram-
maticatissima/ne scriveva" (p.550).
Lo scrivere sgrammaticatissimo è
una scrittura non dettata da fini artisti-
ci ma da una esigenza di
autenticità da cui si svi-
luppa il desiderio di stare
in relazioni più significati-
ve, avendo scoperto del-
l'altro/a qualcosa di ina-
spettato. Si accorge che
per realizzare la propria
presenza nel mondo non
le basta "realizzarsi", sen-
tirsi riconosciuta: vuole
stare in relazioni di auten-
ticità e reciprocità con al-
tri esseri umani.
Passaggi verso la liberazione
Carla Lonzi
Giovanna Providenti