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Numero 4 del 2016

Europa (in)difesa. Barriere politiche e culturali


Foto: Europa (in)difesa. Barriere politiche e culturali
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Testi pagina 5

3Aprile-Maggio 2016
Ma che Europa è mai questa che, volendo fare la guerra totale al terrorismo, pensa bene di cominciare con l’erigere muri condividendo
pari responsabilità tra i paesi che chiudono le fron-
tiere e quelli che lo consentono. Il suo biglietto da
visita l’Unione lo affida ai poliziotti, che controlla-
no i confini e negano il passaggio a migliaia di pro-
fughi. Famiglie intere e bambini soli arrivano dopo
viaggi inenarrabili e ad attenderli trovano rotoli di
filo spinato che trafiggono sogni e intrappolano spe-
ranze. Le immagini e i racconti immersi nel fango
di Idomeni sembrano arrivare dal set di un film che
eccede nel rappresentare una realtà. Perché quella
al di là delle barriere non può essere la nostra Eu-
ropa, culla della civiltà dell’Occidente, del diritto e
del rispetto per la dignità delle persone. La ferocia
di Daesh conta sulla potenza della rete per la sua
propaganda e affida alla follia solitaria dei kamikaze
il messaggio di terrore con cui ha già vinto la sua
guerra con l’assedio al cuore del Vecchio Continen-
te. Di fronte alla straordinaria capacità di questo
nuovo terrorismo di sfruttare la dimensione virtua-
le e di capitalizzare disponibilità di corpi pronti ad
immolarsi, noi abbiamo scoperto le nostre fragilità
politiche e culturali. I servizi (più o meno) segreti
sono stati colti di sorpresa anche perché, almeno in
teoria, avrebbero dovuto raccogliere e interpretare
i belati di una classe dirigente che si è concentrata,
invece, sul triangolo Bruxelles - Strasburgo - Fran-
coforte per affinare le armi della burocrazia e ge-
stire l’attacco della finanza internazionale. In questa
inedita e asimmetrica guerra quanto di più palpabile
esista - il corpo - si incontra, si scontra, si confronta
con beni immateriali che consideriamo (considera-
vamo?) nelle nostre indiscusse disponibilità: libertà,
benessere, sicurezza, diritti. Quelle moltitudini di
corpi affogati nel Mediterraneo, in marcia lungo le
strade europee o aggrappati alle recinzioni sono un
drammatico monumento alla nostra cecità. Di fron-
te all’unica certezza - la necessità di riconsiderare
e rimodulare i nostri stili di vita - è indispensabi-
le la saggezza di chi si pone con coraggio e umil-
tà nell’ottica di studiare e sperimentare con l’arma
del dialogo. In questo senso va letto il messaggio di
condoglianze destinato alla mamma di Giulio Regeni,
il giovane ricercatore torturato e ucciso al Cairo a
gennaio. “Sono con lei e sento il suo stesso dolore,
come soffro, ogni giorno, fino ad ora, per Khaled.
Voglio ringraziarla per essere con noi e per il suo in-
teresse e per la preoccupazione per i casi di tortura
in Egitto. Il lavoro di suo figlio sarà continuato”.
La madre del blogger Khaled Said, assassinato a ba-
stonate nel giugno 2010 da poliziotti ad Alessandria
e considerato l’ispiratore della rivoluzione egiziana
del 2011, ha affidato a YouTube il suo strazio ben
comprendendo il ‘dolore necessario’ di Paola Rege-
ni, madre di Giulio, che ha scolpito indelebilmente
nelle nostre coscienze i patimenti del figlio. “Su quel
viso ho visto tutto il male del mondo e mi sono chie-
sta perché tutto il male del mondo si è riversato su
di lui”. Ci piace pensare che dall’incontro virtuale
di due “madri dei martiri” si tragga la forza per re-
agire alla cultura della violenza che, direttamente e
indirettamente, nutre tutti i terrorismi. Perché se
una madre, con il carico di dolore che le schiaccia
il cuore, ha la capacità di pronunciare queste parole
“la morte di Giulio non è un caso isolato”, vuol dire
che tutte e tutti possiamo credere e impegnarci per
disegnare una nuova civiltà delle relazioni umane.
Tiziana Bartolini
PENSANDO
A GIULIO E KHALED
Se le madri si prendono
per mano
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