Numero 9 del 2010
Dove vanno i consultori?
Testi pagina 49
47noidonne | settembre | 2010
APPRODI
er entrare nel corpo, nell’anima e nella mente di
una donna, Saverio La Ruina non ha bisogno di
trucchi e di travestimenti. L’attore, regista, dram-
maturgo calabrese si concentra con una sensibi-
lità così delicata e solidale sulla condizione delle
donne da identificarsi con loro alla perfezione senza as-
sumerne gesti, tratti, registri vocali di genere. E soprat-
tutto appare sorprendente quando si accosta con
affettuoso rispetto alle donne dell’Italia meridionale, dove
si impongono ancora l’oppressione e il domi-
nio maschili.
L’ultimo monologo teatrale di questo artista
riconosciuto dal Pre-
mio Ubu “migliore
attore”, “migliore
autore di un nuovo
testo italiano” e me-
ritevole di un premio
speciale in qualità di
responsabile della sua compa-
gnia Scena Verticale, si intitola
“La borto”: proprio così, senza
apostrofo. Spettacolo già noto e
applaudito, il monologo, tutto
parlato nel dialetto calabrese ora
aspro ora dolcissimo, è entrato
nel giugno scorso nel cartellone
del Festival delle Colline torinesi,
che con Saverio La Ruina ha una
lunga dimestichezza (il debutto
nella rassegna era avvenuto con
l’originale e spietato “Amleto,
ovvero cara Mammina”).
In questo spazio estivo il bravo
attore ha portato il racconto in
prima persona di un’anziana donna di paese, costretta
poco più che tredicenne ad andare sposa ad un uomo im-
posto dalla famiglia, un essere rozzo, brutto, ottuso e per
di più sciancato, che l’ha ingravidata di continuo. A 28
anni, racconta la protagonista, aveva già avuto otto figli
da un marito a cui non c’era mezzo di
sottrarsi. Stanca della pancia che le
aveva sempre nascosto la vista dei
piedi, a un certo punto si è decisa a far
ricorso ad una pratica abortiva.
Il resoconto farcito di rassegnazione è
pieno di intensità, di sincerità, di co-
lore. Punteggiato di passaggi ingenui e di segni di
incolpevole ignoranza, fa sorridere per la capar-
bietà mite e puntigliosa della donna; ma lascia af-
fiorare molta tristezza quando si completa con
l’evocazione da parte di lei della nipote, che a quin-
dici anni si è trovata ad affrontare la stessa dolo-
rosa esperienza. Certo, in virtù della legge attuale
è capitata in un’asettica struttura ospedaliera dove
i ferri da calza e il prezzemolo non hanno posto;
ma il livore e il malanimo sono ancora in agguato e le
donne, spesso costrette ad assumere la decisione sofferta
di un’interruzione di gravidanza, non hanno nessuno al
loro fianco. Il monologo, recitato dall’attore seduto su una
vecchia sedia, abbraccia l’elemento tragico, ma anche co-
mico di una vicenda dai confini ristretti, che però attra-
versa in fondo tutto il Novecento. Gli accenti del racconto
sono pacati, a volte vellutati, ma nel suo flusso vibra
un’energia solida grazie al talento dell’attore e al dialetto
calabrese che qui ha una sua potenza e un’espressività che
la lingua nazionale forse non potrebbe esprimere. Se da
un lato a causa degli accenni ironici la confessione tea-
trale sembra schiarire il suo sfondo di oscurantismo, dal-
l’altro induce ad osservare che a distanza di qualche
generazione non si sono verificati molti cambiamenti. Ri-
mane il dubbio che la donna dopo che “ha passato la do-
gana dove è spogliata e misurata con gli occhi maschili”,
non esce ancora del tutto liberata. n
SAVERIO LA RUINA, AUTORE
E REGISTA CALABRESE,
SOLIDARIZZA CON LE DONNE.
SOPRATTUTTO
QUELLE MERIDIONALI
P
L’ATTORE,
REGISTA,
DRAMMATURGO
SI CONCENTRA
CON UNA
SENSIBILITÀ COSÌ
DELICATA
E SOLIDALE
SULLA
CONDIZIONE
DELLE DONNE
DA IDENTIFICARSI
CON LORO
ALLA
PERFEZIONE
SENZA
ASSUMERNE
GESTI, TRATTI,
REGISTRI VOCALI
DI GENERE
di Mirella Caveggia
DOLOROSE
INTERRUZIONI
TEATRO / “LA BORTO”
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