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Numero 12 del 2008

E tu di che Natale sei?


Foto: E tu di che Natale sei?
PAGINA 46

Testi pagina 46

Alessandra Paganardi è una delle piùattive e agguerrite poetesse milane-
si contemporanee. Oltre a diverse pla-
quette, ha pubblicato le raccolte "Poe-
sie" (Facchin editore, 2002) e "Ospite
che verrai" (Joker edizioni, 2005). Ha
pubblicato inoltre la raccolta di saggi
critici "Lo sguardo dello stupore: lettura
di cinque poeti contemporanei" (Vienne-
pierre edizioni, 2005); suoi testi e inter-
venti critici sono presenti sulle riviste
"La Clessidra", "Il monte analogo", "Alla
bottega", "Odissea", "Leggendaria", "Gra-
diva", "L'immaginazione", "Costruzioni
psicanalitiche". È redattrice della rivista
di poesia, arte e filosofia "La mosca di
Milano". Nel febbraio del 2008 le edi-
zioni Joker pubblicano "Tempo reale"
dal quale sono tratti i testi qui proposti.
Questo testo spicca per un linguaggio
capace di scendere nel quotidiano senza
mai abbassarsi al suo repertamento.
Mauro Ferrari, nella prefazione, accosta
questa poesia alla capacità di Whitman
di collegare il microcosmo all'universa-
le, il filo d'erba alla potenza generativa
del creato, la vicenda del singolo al de-
stino di un popolo. Pur nella differenza
di stile, ciò che accomuna il poeta ame-
ricano ad Alessandra Paganardi è una
tensione alla realtà sentita come para-
digma, un essere alieni all'astrazione,
un cercare invece il dettaglio, la concre-
tezza del riferimento, l'oggetto da pene-
trare fino in fondo per farlo vibrare con
la potenza stessa dell'osservazione.
Questi versi, attenti e sorvegliati, paio
inclini al contrappunto di suoni e senti-
menti più che propensi a spaziare nel
cromatismo o ad azzardarsi su diverse
tonalità. Si tratta di versi che si aggira-
no intorno alla misura dispari, di sette-
nari e endecasillabi, senza mai cedervi
del tutto, senza farsi lusingare. In que-
sto si rileva la compattezza di un libro
che si fa leggere come un poema nel
quale si osserva una tendenza alla nar-
ratività, a un biografismo che tuttavia
non scende mai nell'oscuro compiaci-
mento di sé.
Se è applicabile anche a questa rac-
colta quello che scriveva Gabriela Fan-
tato nella prefazione a "Ospite che ver-
rai", cioè di una poesia che manifesta
una "adesione al ritmo del reale", è pur
vero che quest'opera sembra indagare
nel profondo il territorio misterioso del
non detto, nel quale l'animo umano si
trova braccato, inseguito dal tempo che
si dilata come una bolla nel tentativo di
sfuggire alla realtà: "Siamo fatti così,
siamo cresciuti/ fra cose non finite./ Per-
sino alla conquista dello spazio/ tutti i
sentieri erano già interrotti." Il non fini-
to, l'interrotto sembra essere la condi-
zione dell'essere umano, costretto nella
stasi della palude. È determinate in que-
sto senso il testo "Acqua ferma", dove
nella metafore di uno stagno che con-
sente alle canne di crescere come comi-
gnoli stagliati nel cielo della loro indivi-
dualità, si nasconde il senso della sta-
gnazione e in ultima analisi della mor-
te: "io sono più lontano, nel bocciòlo/
serrato a pugno, nel grigio indeciso/ fra
perla e fumo. Sono nelle palpebre/ com-
patte della statua, nel suo seno/ bello,
di marmo. Resto in un segreto/ che non
vuole volare.". Eppure in questo libro
non manca mai il filo della speranza
che lavora sottotraccia e che riflette la
compostezza di questi versi; la poetessa
sembra mirare a trovare quel varco di
montaliana memoria nella tenaglia
chiusa del reale: "c'è sempre un giorno
un segno/ una rete lasciata non so dove/
a rivelare il passaggio preciso/ il punto
di ricambio dell'acqua". Non c'è alcun
dubbio che questo libro, oltre a essere
una passaggio importante nel percorso
poetico della poetessa milanese, costi-
tuisca un punto fermo nel panorama
delle nostre lettere contemporanee.
dicembre 2008 noidonne46
Il tempo della poesia
Alessandra Paganardi
"indagare nel profondo
il territorio misterioso
del non detto"
Luca Benassi
Il filo d'erba
Non portare con te un girasole -
il tronfio cortigiano della luce -
e neppure papaveri -
passatoie su strade di follia
Portami un filo d'erba
con la radice viva
come il bernoccolo di un pensiero
di un verde verde, tenda parasole
di fitti moscerini spiritosi
portami un vaso di coccio chiaro
e un'acqua senza fiume
staranno bene insieme
il filo crescerà
come sul volto un sorriso sincero
sarà una traccia che resta anche dopo
nel coccio vuoto, sugli occhi appagati
e lo terrò con me
la sera, quando il mare si fa sete.
Acqua ferma
Guardali quei cannicci nello stagno
comignoli precisi, ognun per sé.
Storie di sempre, bilanci conclusi
in un'acqua tranquilla come terra
in una terra appena più gentile
di sale strano.
Io sono più lontano, nel bocciòlo
serrato a pugno, nel grigio indeciso
fra perla e fumo. Sono nelle palpebre
compatte della statua, nel suo seno
bello, di marmo. Resto in un segreto
che non vuole volare.
Glicine
È bello osservarli qui dall'alto
è un cappello di paglia il pergolato
sembrano quei tramonti dalle vigne
a terrazza, cassetti sopra il mare
camposanti sereni di campagna
o tombe antiche senza più dolore
il tavolo ha una forma irregolare
i bambini non mangiano, le madri
parlano appese alle collane
fra un anno forse saranno gli stessi
io non sarò più io, il mio viola
sarà di un altro fiore
Quella ruga precoce, ma per caso
quasi un altro sorriso più sbiadito.
Il quadro non finito, l'impiantito
di una piazza rifatta cento volte.
Cammeo gazzella, un'Africa di mani
e di cortili - la carezza nata
dal gioco, mosca cieca con la vita,
staffetta di bandiere. La parlata
anche quella a metà, da cominciare
larga nel grande fiume di pianura
e da finire secca, nei gradini
di un torrente veloce.
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