Numero 4 del 2008
UDI: 50E50, donne e rappresentanze
Testi pagina 46
Di Isabella Fancelli e del suo "Le alisocchiuse", pubblicato da Edizioni
del Giano nel 2007, sappiamo solo che
si tratta di una poetessa nata a Terni nel
1965 e che questa piccola raccolta è il
suo esordio poetico. Una sua foto, in
fondo al libro, rivela uno sguardo pro-
fondo, intenso, attraversato dalle nubi
dell'inquietudine attraverso le quali fil-
trano i raggi luminosi della gioia e del-
la passione. Libri così sono rari: le poe-
tesse e i poeti amano indugiare su loro
stessi, vantare pubblicazioni, saggi cri-
tici, attività culturali, partecipazioni a
premi e antologie. Amano dunque la vi-
sibilità in questo piccolo mondo affolla-
to di troppi nomi, troppa carta e poca
poesia veramente valida.
Isabella Fancelli, invece, pare affida-
re tutta se stessa alla parola poetica;
chiede al lettore di concentrarsi esclusi-
vamente sulla poesia, di accarezzarle
l'anima andandola a cercarla nei versi,
negli spazi bianchi, nel suono del lin-
guaggio. Leggere "Le ali socchiuse" è un
po' come leggere i lirici greci arcaici,
quegli autori, tra i quali appartiene an-
che la somma Saffo, dei quali abbiamo
solo un nome, una città di nascita e i
pochi testi tramandati come citazioni
nei trattati di grammatica o nei papiri
scampati fortunosamente alla distru-
zione. Quasi nulla dunque, solo la
straordinaria bellezza dei frammenti
che hanno resistito ai secoli per giunge-
re fino a noi. Anche Isabella Fancelli,
scrive per frammenti: testi brevi, a volte
una manciata di versi, piccoli pezzetti
luccicanti d'anima che fanno apparire
in trasparenza un mondo complesso,
vissuto con la profondità di un senti-
mento mostrato in tutte le sue tonalità:
la paura della bimba, il dolore dell'ado-
lescente, la sofferenza, la passione, la
gioia, l'amore della donna adulta. Si
tratta di finestre aperte su un vissuto
fatto di viaggi, di passioni, di strette di
mano, del passaggio difficile dalla bam-
bina aggrappata alla mano del padre
alla donna adulta e consapevole, pron-
ta al transito delle generazioni. La poe-
sia della Fancelli ama la luce, l'abba-
glio, l'esplosione del colore, il verso bre-
ve, spesso monosillabico, che contrasti
con una monocromia di ombre, di chia-
roscuri, di inquietudini che albergano
nell'animo delicato della nostra poetes-
sa. Scrive Plinio Perilli nella prefazione
al volume: "e la poesia che ci investe, ci
giunge dal lungo viaggio interiore di
Isabella, è una mappa, una tavolozza
esemplare, moltiplicata e variata di
chiaroscuri; tono su tono, la gioia im-
preziosisce ogni ombra delusa, e le no-
stre piccole, fragili ombre addolciscono,
comprovano e rincuorano, vorremmo
dire, i cieli di troppa luce, troppo alti e
irraggianti, battaglia e pace di ogni 'lu-
ce tentata invano'". È questa una poesia
del viaggio. Un viaggio compiuto vera-
mente in India, a Goa, a Benares, a
New Delhi, come testimoniano le anno-
tazioni a margine di alcuni testi; quasi
un diario, una dimensione confessiona-
le che però subito piega verso l'interno
del cuore, verso un'interiorità dove si
svolgono i riti di passaggio, le mutazio-
ni della consapevolezza. Ad Isabella
Fancelli interessano i gesti minimi: la
goccia, il petalo del fiore, il respiro del
vento, il fruscio, il volare di una piuma.
Sono queste le metafore di un'anima che
si apre e si mostra, del passerotto che
sporge il becco dal nido e schiude le ali
per spiccare il volo verso le vastità del
mondo. La poetessa riesce a registrare
l'attimo, il momento esatto in cui il fru-
scio della piuma testimonia il grande
salto, la capacità di conoscere se stessi
e farsi poesia.
aprile 2008 noidonne46
La poesia che schiude le sue ali
Isabella Fancelli
“piccoli pezzetti luccicanti d'anima che fanno apparire
in trasparenza un mondo complesso” Luca Benassi
Le ali socchiuse
non più fruscii nel cielo
le ali socchiuse
immobili
i colori spenti dal tempo
unico superstite di se stesso
emerso dai ricordi
paziente e inesorabile
mi ha travolto repentino
come torrente in piena
mi ha inghiottito
nella goccia che sola
rotola ora
dalle crepe e dai solchi
giù dalle curve assottigliate
e dagli angoli erosi
delle mie ali
per unirsi
alle mille altre cadute
a riempire l'aria
di suoni uguali
io
timida goccia
effimera nota
del suo epilogo trionfale
Trema ancora
sulle labbra chiuse
disperato rimpianto
il bacio
che non ti diede
come un tonfo
in fondo al pozzo
soffocato
dalla mia paura
La voce
di un bimbo che nasce
è come un mulino
che spezza
le pallide acque
di un fiume di lacrime
Al vento d'aprile
nevica il ciliegio
dolce solitudine
trovo
nel dissolversi di un sogno
la mia malinconia