Numero 11 del 2009
Sex love & ...
Testi pagina 46
Il sonetto è senza dubbio la formachiusa più usata nella letteratura ita-
liana e l'amore è l'argomento più canta-
to in poesia. Chi dunque si mette a scri-
vere e chi legge sonetti d'amore deve fa-
re i conti con una tradizione pluriseco-
lare, declinata sia al maschile che al
femminile, che ha plasmato gran parte
della letteratura italiana.
È una tradizione che pesa, che non si
può liquidare e che allo stesso tempo è
necessario rinnovare e a volte cercare di
superare; eppure Francesca Farina riesce
a entrarvi dentro senza farsi intimorire,
sicura e consapevole delle proprie capa-
cità, abitando la forma sonetto con una
leggerezza e una abilità fuori dal comu-
ne. I sui sonetti scivolano sulla musica-
lità dell'endecasillabo calcato su costru-
zioni di rime inedite e sorprendenti: si
tratta di una liricità diffusa, semplice a
una prima lettura, che impregna testi di
un'impronta sostanzialmente narrativa.
"Tragoedia" (Editrice Zona, Arezzo
2008), dal quale sono tratti i versi qui
pubblicati, contiene una corona di so-
netti assai lontana dall'idea di canzo-
niere, dove l'amore è declinato nelle sue
forme terrene più svariate.
Se la sezione "Sonetti al bastardo" ri-
percorre una vicenda amorosa fatta di
un continuo ritrovarsi e abbandonarsi,
cercarsi, ignorarsi; la sezione "Familia-
res" trova il suo centro tonale nel rap-
porto con la terra d'origine, la Sardegna,
con la madre e il padre, con una paren-
te della quale si ripercorrono gli ultimi
giorni di vita.
È un amore, quello di Farina, dal ri-
svolto amaro, dominato dal senso del-
l'abbandono, dalla precarietà della per-
dita, dove spesso la versificazione si fa
rocciosa, inquieta, tagliente, drammati-
camente consapevole di un destino di
dolore.
È dunque un amore che non può che
sfogare, nell'ultima sezione "La tragedia
dei giorni", nella riflessione sul sé, sui
percorsi fatti, su ciò che si deve compie-
re, su ciò che si è ricevuto dalla vita.
Si tratta forse dei testi più forti, per-
corsi da una vena di sofferenza che pro-
prio nella riproposizione della tragedia
dell'esistere donano al lettore una possi-
bile, personale catarsi. Ecco dunque che
se Francesca Farina ricorda nel sonetto
d'incipit come il suo stesso cognome sia
grano che diventa pane e nutrimento, il
testo di congedo contiene invece un'a-
mara meditazione sulla morte: "La ta-
gliola è scattata - che poi sia/ o lutto o
malattia o di moneta/ si debba corri-
spondere ogni frutto -// o nella pania
presto è avvoltolata/ la preda, destina-
ta a ogni bassezza,/ consegnata alla
morte, estremo lutto."
Francesca Farina, nata a in Sarde-
gna, risiede dal 1973 a Roma.
Fin da giovanissima ha cominciato a
scrivere poesie, racconti e diari, questi
ultimi premiati in diverse occasioni.
Nel 1998 ha curato la pubblicazione
di "Framas" ("Fiamme", in sardo) che
raccoglie poesie del fratello, della ma-
dre e un suo racconto. Ha pubblicato le
raccolte poetiche "Sulle ali dell'angelo",
"Nature morte", "Metamorphòseon" e
"Tragoedia".
Ha scritto, inoltre, tre sceneggiature:
una basata sulla "Vita di Vittorio Alfie-
ri scritta da sé medesimo", una ambien-
tata nella Sardegna dei primi anni Ses-
santa e intitolata "Tamarikes de preta"
("Tamerici di pietra") e una tratta dal
romanzo "Il giorno del Giudizio" di Sal-
vatore Satta. Diversi sonetti e un ro-
manzo sono in attesa di pubblicazione.
Nel corso degli ultimi anni ha ideato e
organizzato numerosi eventi culturali,
come la "Maratona dei Poeti" e il "Leo-
pardi's Day" con letture poetiche in oc-
casione dell'anniversario della nascita
di Giacomo Leopardi.
novembre 2009 noidonne46
Francesca Farina
Come creatura senza meta
Luca Benassi
la musicalità
dell'endecasillabo e le rime
inedite e sorprendenti
Non ti ricordo, non dirmi che non sai,
sei stato una bufera di sospiri,
un vento dei più amari desideri,
ma non sei qui, e quindi che ne fai
della tua assenza, di non mostrarmi mai
la tua figura, esausta e malcontenta,
la luce dei mattini, l'impazienza
che snerva e mi distoglie da altri guai?
Però, se adesso varcassi la mia porta,
se suonassi al citofono o il cellulare
modulasse il suo canto inespressivo,
mi strapperei dal petto il cuore vivo
per recartelo intero e farlo amare,
ma non lo rivorrei: senza di te me ne privo.
E' notte, ma vorrei fosse domani,
il giorno già intrapreso, il sole sveglio,
gli alberi che si dondolano nel prato,
illuminati da un mattino acceso;
e tu, dall'altra parte del giardino,
che già sorridi e aspetti che mi affacci,
e se mi vedi mi chiami, poi mi abbracci
appena scesa giù, a te vicino.
Invece, all'alba mi alzo, mi rassetto,
leggo il giornale, bevo il mio caffè,
nel silenzio ovattato; nulla aspetto,
tanto meno che tu ti accosti a me,
che telefoni o scriva: il mio segreto
è quello d'ignorarti, altro non cerco.
Lui fu sorgente ed io sono sua foce,
che scorre verso un mare devastato,
il mondo senza pace ormai restato,
che arranca trascinando la sua croce;
era sgorgato dal più splendido monte
che mai conobbe, dal niveo Monte Albo,
che non ha nevi, ma è come imbiancato
da calce millenaria, eccelse rocce.
A poche leghe vi nasce un vero fiume,
il Tirso, nei suoi prati di Mannùri,
che trascorreva senza tregua, astato.
Egli non crebbe certo in molli piume,
ma percorse bambino aspri tratturi,
seguendo il gregge, suo bene adorato.