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Numero 8 del 2016

Felicità, parliamone


Foto: Felicità, parliamone
PAGINA 46

Testi pagina 46

44 Luglio-Agosto 2016
UN CERTO
GENERE DI
CITTADINANZA
“U
n’ignota compagnia/ solo col tempo
viene giudicata. Ognuno ha lingua
svelta e ingenerosa/ verso lo stra-
niero” (Eschilo, Le Supplici). Quante
volte in questi mesi mi è risuonato
nella mente (ma anche nel cuore) questo passo, e riten-
go che la filosofia debba affrontare, almeno nei nodi es-
senziali, il fenomeno migratorio, che si presenta come
un grande groviglio, una matassa difficile da dipanare,
significativa e ricca di tanti fili, avvenimento prismatico.
Da un lato la visione desolante di donne, uomini bambi-
ni, in cammino che ogni giorno si offre al nostro sguardo
incredulo, ma anche inattivo, dall’altra le teorizzazioni,
spesso violente, aggressive, razziste, sì che la voce
della ragione (e del cuore) è troppo lieve e inascoltata.
Una domanda irrompe: chi è per noi l’altro, il diverso,
lo straniero? ricordando subito che l’umanità non esiste
come un unico corpo politico, ma si presenta divisa in
comunità multiple, nelle quali alcuni/e vi appartengono
come membri, altri/e sono stranieri, divisione che non va
confusa con amici/nemici, e legata, questa, alla guerra
e alla pace.
La prima annotazione proviene dalla Bibbia Ebraica che
rovescia la domanda affermando che noi stessi siamo
stranieri gli uni agli altri, perché per rendere ragione della
nostra identità collettiva, abbiamo bisogno di paragonarci
con gli altri e qui nascono i problemi.
Più in profondità vorrei ricordare il contributo apportato
dalla riflessione femminista, iniziando da Simone de Be-
auvoir che definiva la donna come l’altro, secondo sesso
rispetto al primo, per concludere con l’invito dei post co-
lonial studies (Spitvak in particolare): “non si può parlare
per l’altro”, cioè la necessità di abbandonare un’ottica
eurocentrica; così come è urgente che il fenomeno stes-
so dello straniero e delle migrazioni vada contestualizza-
to e storicizzato, perché esso non consente uno studio
astratto, il cui risultato sarebbero stereotipi falsanti, quali
l’idea di un’Europa assediata, di una “Fortezza europea”,
ma va colto come trama di vissuti, sentimenti, prassi, fo-
calizzabili in una serie di parole chiave, che sgorgano
l’una dall’altra e mostrano una complessità in se stesse:
identità, donne e identità, viaggio, confini, frontiere, so-
glie, margini, infine Europa, perché corre sotterraneo il
tema della cittadinanza europea.
Temi vastissimi che riassumo: le donne sono frontiere
di genere, e insieme ‘genere di frontiera’.
Tralascio, pertanto, altri confini, reali e sim-
bolici, spaziali interni o esterni, tra mondo
femminile e mondo maschile, tra giovani e
vecchi, e delineo la donna come frontiera
di genere, per i suoi tanti attraversamenti:
la soglia della diseguaglianza culminata
nel ‘68 - il cosiddetto primo femminismo
emancipazioni sta - e successivamente
la frontiera della differenza grazie al se-
condo femminismo ed infine la decostru-
zione ultima del soggetto, la distruzione
dell’identità presente nella queer theory,
che rifiuta la risposta sostanzialistica alla
domanda: cos’è una donna? mostrando come il concetto
stesso debba sostituito a favore del ruolo che ogni essere
umano recita o interpreta. Soggetto come farsi e non come
fatto, intreccio di identità e differenza, l’io nomade secon-
do Rosi Braidotti.
Circa le donne come genere di frontiera, in via previa
si deve rilevare come esse aggiungono all’invisibili-
tà che è frequente nei confronti dello straniero una
seconda invisibilità, in quanto donne che vivono in
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