Numero 9 del 2007
Dolce attesa ... o malattia?
Testi pagina 45
Interpretato da un acrobatico, prodi-gioso, appassionato Gaetano Bruno -
attore storico della compagnia SudCo-
staOccidentale - il "Festino" racconta di
Paride, una strana creatura che dello
sgabuzzino gremito di scope con cui ha
un rapporto fraterno e affabile ha fatto
il suo rifugio e che il Giorno di Santa
Rosalia, patrona di Palermo vuole cele-
brare il trentanovesimo compleanno. È
solo, la madre chissà dov'è finita, il pa-
dre, un pezzo di m., si fa vivo con qual-
che rara lettera sono per chiedere soldi.
Paride aveva un fratello gemello che si
chiamava Jacopo. Erano entrambi ma-
lati. Lui, psichicamente instabile, nella
testa e l'altro immobilizzato, nelle gam-
be. Sono stati molto uniti, erano sempre
insieme e vicini, un'unica creatura, poi
disgraziatamente il gemello è morto in
seguito ad una caduta di cui Paride si
sente in parte responsabile. Ora Jacopo
non c'è più. Forse non è mai esistito, ma-
gari era solo un'invenzione, un fanta-
sma; ma nel grottesco festino di anni-
versario celebrato fra palloncini e cotil-
lons in un ripostiglio di scope anche lui,
l'adorato fratello con l'handicap sarà
presente. Ecco qualche stralcio di un'in-
tervista della brava autrice e regista,
che è stata anche attrice di teatro.
Nello squallore di certi ambiti dome-
stici gonfi di miseria ma anche di
forti sentimenti che lei porta in sce-
na si avverte una spinta al sublime...
E' vero. È un po' come quando si entra
nel cuore di Palermo e insieme allo sfa-
celo si scorge l'architettura meravigliosa
e lo sfarzo. La stessa miscela di sontuo-
sità e di degrado è nelle famiglie che si
agitano in molto dei miei lavori: in rovi-
na, ma dotate di dignità e nobiltà.
Per questo dramma che lei ha scritto
e diretto, un pubblico ammirato l'ha
applaudita calorosamente nell'ulti-
ma edizione del Festival delle Colline
Torinesi. Anche la critica si è espres-
sa con favore, esaltando in partico-
lare l'interprete. Le solleva più emo-
zione il successo del pubblico o quel-
lo della critica?
Quello del pubblico.
I suoi spettacoli molto apprezzati al
nord, hanno un uguale gradimento
nel meridione?
Senz'altro, anche se ci sono meno re-
pliche perché esistono meno circuiti di
questo genere capaci di ospitarci. Al
nord il sostegno economico è maggiore e
la programmazione è più vasta rispetto
agli spettacoli fuori circuito come questi.
Lei ha anche recitato. A Torino è ri-
masto il segno del suo apporto al
Gruppo della rocca. Sembra che ab-
bia chiuso con la carriera di attrice.
C'è un motivo?
Mi imbarazza stare sul palcoscenico.
Nel suo teatro franco e senza orpelli
lei si impegna con energia ad asseri-
re le sue verità. Quale teatro è il con-
trario del suo?
Il teatro sperimentale estremo, quello
che insegue elucubrazioni e strade diffi-
cili, quello che si dice in Italia "avan-
guardia", che secondo me è fraintendi-
mento, qualcosa che ha a che fare con
la preistoria.
Ma i suoi drammi che contrastano le
false rappresentazioni della Sicilia
per la loro originalità sono teatro di
ricerca.
Sì. Perché è un teatro che cerca sem-
pre di sottrarsi alla morsa del proprio
stile e non trova una strada definita,
uno sbocco.
Come propone i suoi drammi agli at-
tori in veste di regista? Che rapporto
ha con loro?
Tendo a dominarli. Sono prepotente,
come i bambini quando giocano e il gio-
co non gli riesce.
È un ostacolo essere donna quando
si cura una regia?
Si fa più fatica. Credo di avere cam-
biato anche un po' fisionomia. Ho do-
vuto assumere un atteggiamento più
maschile rispetto a quello che mi era più
consono. Mi tocca fare la voce grossa
per imporre la mia volontà. Per una
donna questo è difficile: troppi retaggi,
troppa tradizione, troppi tabù. E dato
che gli uomini mi sono ancora scono-
sciuti, sto cercando le chiavi di lettura e
le porte da aprire. Con le donne ho un
tratto meno duro, più rispetto e un'ab-
negazione totale. La figura femminile è
più importante e mi appare molto più
chiara. Comunque l'esperienza mi ha re-
so più serena, più manipolatrice.
La fisicità con i sui volumi, gli odori
e gli umori sembra importante per
lei?
Per me sì, perché come diceva Ar-
taud, è lo scricchiolio d'ossa che si sen-
te quando si assiste ad uno spettacolo
quello che fa il teatro. È importante che
spicchi la diversità fra un attore e l'altro
e che loro trovino un terreno comune in
una sorta di matrimonio, di assurda
osmosi.
Anche Il Festino andrà in Francia co-
me tutti i suoi spettacoli. Dicono che
l'apprezzamento sia straordinario. È
soddisfatta?
Certamente. Non si può negare che
anche questa popolarità segni un passo
in più, ma è sempre lo spettacolo che
non ho fatto il passo in più rispetto agli
altri.
noidonne settembre 2007 45
Mirella Caveggia
Teatro come “scricchiolio d’ossa”
Intervista a Emma Dante
l'autrice è tornata ad esplorare
nelle viscere della famiglia con
Il Festino, l'ultima sua
incandescente creazione