Numero 1 del 2007
Che sia un anno di PACS
Testi pagina 45
noidonne gennaio 2007 45
Non ci potrebbero essere persone cosìdiverse, come me e il regista Pietro
Orsatti: eppure la stessa rabbia ci ha
colto quando, all'edizione serale del te-
legiornale, il post fascista Ignazio La
Russa ha auspicato, con il tatto raffina-
to che lo contraddistingue, che l'onore-
vole Lidia Menapace se ne stesse a casa
a occuparsi dei nipotini, invece che di
Difesa. Era giugno, faceva già troppo
caldo, e quelle frasi non migliorarono
l'umore.
Una telefonata di Pietro, da Roma a
Genova: "hai sentito cosa ha detto su Li-
dia?" mi chiede, e il progetto 'film su Li-
dia', come è stato poi definito nel lessi-
co familiare che si è creato nel gruppo di
produzione, è partito. Contattiamo la
neoeletta senatrice Lidia, e nei suoi pri-
mi giorni di vacanza dopo la sua entra-
ta a Palazzo Madama eccoci in viaggio.
Due auto: da Genova io parto con mio
figlio Anteo, sedicenne; Pietro da Mode-
na con Sonia Lattanzi, incipiente gravi-
danza, e Maura Pazzi, con il figlio di
dodici anni al seguito. La troupe si in-
contra dopo centinaia di chilometri a
Pordenone, imbarca Lidia che è ad una
iniziativa di Beati costruttori di pace, e
via verso Cles, provincia di Trento, con
una spesona di verdure, formaggi e frut-
ta fresca. La telecamera è già accesa in
auto, il viaggio materiale in salita verso
le montagne è l'anticipo del viaggio vir-
tuale che la me-
moria di Lidia
sgrana attraverso
la sua storia pri-
vata: quella dei
suoi genitori, dei
suoi amori e del
suo 'matrimonio
senza obbligo di
convivenza' con
il medico trentino
Nene, scomparso
due anni fa, e
quella sociale e
politica.
La scelta non-
violenta nel mo-
vimento della Re-
sistenza, il '68, la
fondazione del
Manifesto, il fem-
minismo, le rifles-
sioni sul difficile
presente, la gabbia dorata, così la defi-
nisce sin dai suoi primi reportage nella
lista di discussione Lisistrata, del Parla-
mento.
I set del film sono la grande casa di
Cles, il suo giardino ventoso e le sue
montagne tutte intorno, e la casa di Bol-
zano, dove Lidia apre i cassetti e gli al-
bum di foto. Nelle pause delle riprese si
prepara da mangiare, si fanno passeg-
giate, si guarda la tv. Dopo il primo
giorno noi del gruppo ad una certa ora
della notte crolliamo, Lidia tira le tre di
mattina e ci mette a letto, fresca come
una rosa.
Ce lo sogniamo, nel caso si arrivi a
ottanta anni, di essere così tonici. Que-
sto è certo.
Davanti alla foto, in disordine, come
per caso, ci troviamo di fronte alla
grande storia del secolo appena alle
spalle, e si resta senza fiato: il Cremlino,
Bob Kennedy che riceve la delegazione
di amministratori e amministratrici, tra
cui Lidia spicca in civettuole mises con
cappellini impeccabili e guanti bianchi,
diversi partigiani oggi scomparsi, istan-
tanee di Castellina, Ingrao, Rossanda,
riunioni di quella che è stata la redazio-
ne più 'fosforescente', più carica di fo-
sforo e di intelligenza dell'Italia del do-
poguerra, come la stampa nordamerica-
na definì quella del Manifesto.
"Quando ero molto giovane, appena
finita la seconda
guerra mondiale
e la resistenza,
guardavo con
ipocrita generosi-
tà alle "vecchie"
quarantenni, dal-
le quali mi sepa-
rava, in quanto
generazione, un
abisso - ama rac-
contare Lidia -:
erano per lo più
donne tradizio-
nali che durante
la guerra, se non
avevano preso
coscienza di sé,
erano state vissu-
te dagli eventi in
modo passivo,
triste, doloroso
con grandi sacri-
fici e grandi capacità di reagire alle vi-
cende che mi pareva essere stata sempre
tipica delle donne.
Mi trovo a ripercorrere la mai vita
come se fosse una "fonte storica" e mi
accorgo quanto la arricchiscono le do-
mande delle giovani, la loro curiosità
affettuosa rispettosa e calma. Penso che
le relazioni sono molto costruite sui
contesti. Vorrei trasmettere questo even-
to decisivo, perché può risuccedere, se
lasciamo che si smarrisca la memoria di
ciò che successe: senza memoria non si
costruisce storia e si è in una specie di
coazione a ripetere, naturalmente dei
ruoli".
Negli anni '70 ci fu uno dei momenti
più tragici per il nostro paese, nel quale
un manipolo di uomini, e qualche don-
na, tenne in scacco la democrazia: le
Brigate Rosse e altre formazioni di 'co-
munisti' combattenti, che una volta in
galera si dichiaravano 'prigionieri poli-
tici'. Abbiamo voluto rivoltare come un
calzino quella feroce affermazione, e
prenderne la parte solare: vogliamo di-
chiararci politici sì, eccome, ma nipoti,
tutti e tutte, di questa straordinaria 'an-
tenata', che tanto ci ha insegnato e tan-
to ancora, con ironia e allegria, ci saprà
regalare?
Per info e prenotazione del film
monica.lanfranco@gmail.com
Per vedere il trailer del film
www.monicalanfranco.it
Monica Lanfranco
Mi dichiaro nipote politica
Memoria
un film (quasi) ritratto di Lidia
Menapace girato per evitare
che si “smarrisca la memoria
di ciò che successe”