Numero 8 del 2016
Felicità, parliamone
Testi pagina 45
43Luglio-Agosto 2016
Masaan, ovvero l’IndIa
dI IerI e dI oggI
Un film sulle ineguaglianze sociali e di genere,
‘tra la terra e il cielo’ del sub-continente indiano
Contro ogni aspettativa, è arrivato con l’estate nelle sale italiane - distribuito da Cinema di Valerio
De Paolis - il film indiano indipendente
Masaan: tra la terra e il cielo, primo lun-
gometraggio del giovane regista e sce-
neggiatore Neeraj Ghaywan, vincitore
a Cannes lo scorso anno, nella sezione
Un Certain Regard, del Premio Fipresci
della critica internazionale e del Premio
dell’avvenire, in ex-aequo con l’iraniano
Nahid di Ida Panahandeh. La pellicola
racconta l’intrecciarsi di complesse e tragiche storie di inegua-
glianze, sociali e di genere nell’India contemporanea dove, sembra
dire il regista, al di là di utilitaristiche apparenze e di uno sviluppo
complessivo riconosciuto a pieno titolo dai mercati internazionali,
sono ancora all’ordine del giorno gravi questioni legate alla casta
di appartenenza, enormi difficoltà di emancipazione per le donne,
invalicabili ostacoli per uomini e donne nella scelta libera di chi fre-
quentare e sposare, ampia corruzione ed abusi della polizia, in ge-
nerale diffusa ipocrisia sociale. Masaan, che significa crematorio, è
stato girato nei magnifici scenari naturali di Varanasi (Benares), la
città santa, dove buona parte della vita e della morte si svolge sui
ghat, le rampe discendenti al fiume Gange, fra le abluzioni sacre e
le pire delle cremazioni che bruciano costantemente. I protagonisti
del film sono personaggi di tutte le caste, le cui vicende esistenziali
s’incrociano in uno script ben equilibrato e denso di pathos: giova-
ni che vogliono vivere, sperimentare ed amare liberamente, hanno
studiato, si scambiano messaggi, pensano che tutto sia possibile,
ma in realtà non è così; adulti che credono di conoscere il mondo
e si adeguano a situazioni anacronistiche, rimpiangendo gli erro-
ri passati; forze dell’ordine violente, che ricattano e minacciano la
gente comune con odiose ed assurde denunce per guadagnare
illegalmente; bambini orfani che vivono di espedienti tirati su dalla
variopinta comunità dei ghat. Le vite di Deepack, un giovane dei
quartieri poveri laureatosi in ingegneria ed innamorato di una ra-
gazza ricca, Devi, una ragazza in crisi, schiacciata dal senso di
colpa per il suicidio di un giovane a seguito della scoperta pubblica
della loro relazione, Pathak, un padre vittima della corruzione della
polizia, Jhonta, un ragazzino in cerca di una famiglia, si incontreran-
no misteriosamente, mentre sul fiume continuano a splendere albe
e tramonti mozzafiato, preludio per tutti di un domani migliore, nel
travaglio fra modernità e tradizione. “Per me questo film - afferma il
regista - è una sorta di storia iniziatica, nella quale il dolore e la mor-
te, che toccano tutti i personaggi, possono trasformarsi in qualcosa
di positivo e non necessariamente condurre alla disperazione asso-
luta. D’altronde Benares è conosciuta come ‘la città della morte’ e si
dice che, chi muore laggiù, troverà la salvezza”. Un film sul destino,
tra scelte, morte e vita.
Elisabetta Colla
sussidi statali di disoccupazione, en-
trando così in un dedalo senza uscita
di problemi burocratici versione 2.0 e
di odiose sanzioni, e del suo incontro
con Katie, una madre single con due fi-
gli, disperata e senza lavoro, categoria
per la quale Loach continua a mostrare
qui, come in altri film, il suo occhio pre-
muroso e benevolo. Il secondo film, già
cult, vincitore del Grand Prix Speciale
della Giuria - il secondo premio più im-
portante di Cannes, assegnato al film
ritenuto più originale - è Juste la fin du
monde (dramma familiare con un cast
di stelle fra cui brillano Marion Cotillard e Léa Seydoux),
del ‘fenomeno’ francese Xavier Dolan, regista ed attore
27enne, enfant prodige ed omosessuale dichiarato, sempre
alle prese con tematiche ricorrenti quali i rapporti fra fami-
glie d’origine, madri e figli ‘diversi’, già vincitore nel 2014
del Premio della Giuria con Mommy, un film che in Italia ha
avuto grande successo.
Infine, il terzo film da tenere d’occhio, vincitore di due Premi
a Cannes 69, per la Miglior Sceneggiatura e per il Miglior
Attore (Shahab Hosseini), è Forushande (Il cliente) firma-
to dall’iraniano Asghar Farhadi - già Orso d’Oro ed Oscar
per Una separazione nel
2011 - un drammatico e
raffinato thriller esistenziale
e psicologico che, attraver-
so sottili metafore, indaga
sull’importanza delle ap-
parenze e degli stereotipi,
sociali e di genere, di cui è
impregnata la società ira-
niana, e su temi quali colpa,
onore, sospetto, orgoglio,
vendetta e perdono: prota-
gonista una giovane coppia
di neo-sposi, amante della
letteratura e dell’arte, che la
sera mette in scena la pièce
teatrale Morte di un commesso viaggiatore, di Arthur Miller,
quasi in parallelo con i vissuti quotidiani.
La Giuria del Concorso di Cannes, fra i cui membri era
la nostra Valeria Golino, ha premiato i contenuti, le re-
lazioni umane e l’autenticità oltre le apparenze ‘monda-
ne’ del Festival: strano ma vero. Da segnalare anche il film
vincitore della Caméra d’or, Divines, presentato alla Quin-
zaine, opera prima della regista franco-marocchina Houda
Benyamina, che sarà visibile a tutti, entro l’anno, sulla piat-
taforma Netflix. b
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