Numero 1 del 2010
2010 non ci resta che ridere
Testi pagina 45
Quando a teatro l'intelligenza dà i nu-meri volteggia in scena la follia, co-
me nello spettacolo "7,14,21,28" di An-
tonio Rezza. Non c'è nulla di simile nel
panorama teatrale, cabarettistico, ra-
diotelevisivo italiano. L'artista novarese
è unico è inimitabile. Brutto di una
bruttezza senza speranza, (ma è lui che
si fa laido a più non posso), mette in
campo paradosso, sarcasmo, un delirio
di ragionamenti sconclusionati. Le sue
insensatezze non vanno da nessuna
parte, ma prima di dissolversi gettano
bagliori fulminanti sui miserabili con-
notati della nostra società. Di queste
acrobazie verbali e fisiche è impossibile
dare conto, l'espressione scenica di An-
tonio Rezza, che richiama un po' Cha-
plin, un po' Totò, ma anche Petrolini,
sfugge alle descrizioni, perché i suoi
guizzi maligni non si afferrano. L'aspet-
to più impressionante di quest'attore è
la mimica facciale, oltrechè quella cor-
porale, una fisionomia che si allunga e
si allarga, si contrae e si espande come
un elastico e come la plastilina si mo-
della con effetti sempre diversi. In scena,
una installazione di Flavia Mastella ra-
duna intorno ad uno scheletro metallico
elementi discrepanti e complementari a
tanta insensatezza: stracci, drappi, veli
e reti nei quali il monologante si impa-
luda per potenziare il peso del suo spro-
loquio; inconsistente lì per lì, ma in fon-
do segno di una solitudine senza scam-
po davanti al nulla che avvolge la vita
odierna. Il messaggio arriva e induce lo
spettatore a cogliere fra le risate la ma-
linconia di questo moderno clown che
finisce coll'inseguire correndo in tondo
Ivan Bellavista, il suo coadiuvante. Nu-
di come vermi, le mani sulle pudende, i
due si sfiatano a vuoto.
Mentre Rezza fa capriole nell'astra-
zione, Maurizio Crozza, altra voce sati-
rica di pregio, fila sui binari della con-
cretezza per punzecchiare, trafiggere,
mettere alle corde politica, costume e
società in uno show intitolato "Fenome-
ni". Basta moltiplicare per venti la sua
introduzione a "Ballarò", con le aggiun-
te ben più graffianti che il teatro acco-
glie più della TV, e si ha la misura della
qualità dell'artista genovese. Accompa-
gnato da due musicisti che ogni tanto
recitano per dare rilievo alle caricature,
Maurizio Crozza crea un ameno laghet-
to di comicità senza eccessi, senza am-
miccamenti, senza costumi e travesti-
menti, solo con la forza della sua fulmi-
nante carica umoristica ("La destra va
con le escort, la sinistra con i trans e il
paese va a puttane").
Rezza, vestito di una patetica malin-
conia, riflette un mondo furbastro e ca-
rognesco, Crozza attinge a una vena go-
liardica piena di allegria, di impertinen-
za e di certezze. Il primo, astratto, smar-
rito nel suo abbandono, tira somme
amare e tristi di vizi, disumanità e amo-
ralità; il secondo, consapevole della
propria energia, riflettendo con il pub-
blico sui lati più stupidi dell'attualità
politica e mettendoli in caricatura, di-
rama un messaggio di giulivo dissenso.
Magro, lucido di sudore, animato da un
delirio febbrile, Rezza; pacioso e rassi-
curante Crozza. Così diversi, sono due
bravissimi, irresistibili artisti entrambi.
noidonne gennaio 2010 45
Voci satiriche di pregio
Rezza e Crozza
Mirella Caveggia
impertinenti e dissenzienti,
ciascuno a modo suo questi
due artisti portano in teatro ciò
che la TV difficilmente accoglie
La sconcertante attualità del Tartufo
Nel ruolo di moglie che sa il fatto suo, Licia Maglietta trionfa sempre. Sia sullo scher-
mo (si pensi a "Pane e tulipani") sia sul palcoscenico, dove per la seconda stagione
affianca Carlo Cecchi in "Tartufo" di Molière. In questa satira velenosa del grande fran-
cese contro i falsi devoti, che gli ecclesiastici di allora fecero di tutto per far proibire
e sopprimere, la vediamo nel ruolo di Elvira, consorte di Oronte (Carlo Cecchi).
Indignata per i modi di Tartufo (Elia Schilton) pedagogo ipocrita che intorno a sé cor-
rompe tutte le anime e tende insidie ai suoi padroni, con uno stratagemma sbugiar-
da il finto moralista davanti al marito credulone. Errori, manie, falsità di rapporti,
sono resi in questa versione in un clima naturale, grazie alla regia avveduta di Carlo
Cecchi e alla traduzione, un po' aulica e un po' popolare, resa con originalità da
Cesare Garboli. Lo spettacolo, ospite del cartellone dello Stabile di Torino, è condot-
to in una scena disadorna, presto animata da battibecchi e dagli equivoci, un intrec-
cio che ci riporta a misurarci con il grande teatro e un personaggio così ben reso che
sprigiona ancora oggi tutta la sua sconcertante
attualità. Carlo Cecchi, uno dei migliori attori del
nostro tempo, anche se ogni tanto sembra abban-
donarsi a qualche svogliatezza, è sempre molto
bravo nel ruolo del marito infinocchiato dai modi
melliflui e ingannevoli della finta anima santa. Elia
Schnabel è l'ipocrita che la regia ha voluto rendere
meno odioso, lasciando allo spettatore un margi-
ne di giudizio. Comunque il personaggio rimane
così sgradevole e untuoso da farci fremere. Come
fa davanti alle sue avance Licia Maglietta, un po'
troppo sexy nell'abito sgargiante e scollacciato per
essere la sposa virtuosa che si immagina. Con le
sue belle qualità, dimostra vivacità interpretativa,
come del resto le altre attrici: Barbara Ronchi,
spassosa nella sua petulanza, Antonia Truppo,
molto graziosa, Angelica Ippolito nei panni grigi e
severi della vecchia madre moralista.
(M. C.)
foto Maurizio Crozza
Schilton Maglietta © Bobo Antic