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Numero 6 del 2009

Libere o sicure?


Foto: Libere o sicure?
PAGINA 44

Testi pagina 44

giugno 2009 noidonne44
Icapricci dell'amore, che come il ventova e viene senza un perché, sono il te-
ma di "Jack e Jill", una commedia dell'a-
mericana Jane Martin che al suo debut-
to nazionale per lo Stabile di Torino
scruta con brio e intelligenza i meccani-
smi di frantumazione della coppia del
giorno d'oggi. E lo fa dispensando getti
di risate insieme a schizzi di fiele, perché
la pretesa armonia familiare, i nodi in-
dissolubili, l'intesa perfetta sono favole
che il mondo occidentale non fa che
smentire clamorosamente. Così almeno
sembra concludere l'autrice nel suo dis-
incanto, convinta che l'unione fra un es-
sere femminile e uno maschile è un'ope-
razione piuttosto sconsiderata che reca
in sé i germi della propria corrosione.
Jack e Jill (nomi che nell'inglese cor-
rente indicano un lui e una lei) sono due
divorziati che un giorno si incontrano
per caso. Superata la prima diffidenza,
entrano in sintonia, si innamorano e si
infilano con ottimismo nel percorso ma-
trimoniale. Li si rivede dopo un po', ri-
succhiati nella spirale delle polemiche.
Poco a poco il progetto sincero di proce-
dere nella propria affermazione autono-
ma mantenendo l'armonia, si spegne
con la discordanza dei caratteri, degli
umori e delle circostanze. Anche la se-
parazione seguita da una riconciliazio-
ne accesa dal sesso non aggiusta le co-
se. Forse non è colpa loro, né delle si-
tuazioni esterne. La coppia, matrimo-
niale o no che sia è una trappola, un'i-
stituzione sbagliata strutturalmente.
L'allestimento che ne ha fatto il regi-
sta Beppe Rosso è di ottima qualità.
Non c'era bisogno di sfondi scenografici
per una vicenda nelle cui pieghe tutti
possono riconoscere pezzetti della loro
vita. La frontiera uomo-donna è proprio
irta di insidie se non invalicabile, so-
stiene serafica l'autrice che investe con
grazia maligna e grottesca la coppia in
questione, simbolo di tante altre.
Dimostrano gran bravura i due pro-
tagonisti. Avvolti nella dialettica rapi-
da e concitata di una sarabanda di bat-
tibecchi, sempre pronti a scalfire un'e-
ventuale intimità di pensiero, Sara Ber-
telà e Juri Ferrini si infilano benissimo
nei costumi azzeccati dei personaggi -
noiosa come una zanzara lei, rassegna-
to e meno profondo lui - entrambi colti
e intelligenti, ma carenti di quella sa-
pienza emotiva che nei rapporti umani
sarebbe auspicabile e non si riesce mai
ad esprimere fra le pareti domestiche.
Ma forse l'armonia non è davvero rea-
lizzabile in nessun ambito, in nessun
luogo e nessun tempo e non fa proprio
parte del genere umano.
Data la brillantezza del testo, merita
una lode la traduzione pronta e folgo-
rante.
Teatro delle coppie
Jack e Jill
Mirella Caveggia
l'impossibilità dell'amore in
una commedia pessimista
4 atti profani
Espressioni brutalmente
estremizzate, linguaggio farci-
to di oscenità, sfondi gonfi di
tempesta si addensano nel
bellissimo spettacolo "Quattro
atti profani" tratto dagli scritti
teatrali di Antonio Tarantino,
proposto al suo debutto alle
Fonderie Limone di Moncalieri
per lo Stabile di Torino con la
grandiosa regia di Valter
Malosti.
Su una collina circondata dalle macerie di una città devastata affondano gli episodi
del dramma: Stabat Mater, Passione secondo Giovanni, Vespro della Beata Vergine,
Lustrini. Le vicende citano le scritture evangeliche che travestite e deformate affiorano
per lampi e investono con l'afflato del sacro le miserie di poveri cristi di oggi, destina-
ti per un verso o per l'altro al sacrificio del Golgota. Nei quattro drammi estratti da una
realtà metropolitana invasa dalla povertà, ignorata e senza speranza di difesa, inveisce
e si agita a vuoto fra sconcezze e turpiloqui il popolo delle panchine, della prostitu-
zione infima, della povertà, dell'alcolismo. È un brandello di umanità dalla sensibilità
cicatrizzata, pittoresco e abbagliante, segnato dalla follia fino alla trasfigurazione. Si
intravede, steso sulla barella dopo il suicidio, un giovane convertito alla prostituzione
con accanto un padre goffo e grottesco chiamato per il riconoscimento (un poderoso
Mauro Avogadro) che invano lo aveva messo in guardia di fronte alla morte annuncia-
ta. C'è il matto maciullato dall'elettroshock che ruota sempre intorno alle stesse paro-
le e agli stessi gesti fino a rivestirli di una ambigua santità (Valter Malosti, a suo agio
nella follia). E rifugiata in una cabina sbilenca ai piedi della collina che reca infissi i tre
pali simboli del supplizio di Cristo, la signora Maria Croce sproloquia con i colori della
volgarità in favore del figlio "nelle grane per i rabadàn della politica" (Maria Paiato in
negligè, vestaglie e ornamenti vistosi è impagabile nella sua sguaiata fisicità). Infine nel
capitolo 'Lustrini' si contemplano i due ladroni gay, un fantastico Michele di Mauro
senza freni con Mariano Pirrello, che muore di freddo e di amore con soave e isterica
trepidazione.
Recitazioni magnifiche, vigore e spietatezza del testo, scenografia stupefacente dei
giovani e già celeberrimi Botto & Bruno, costumi sgargianti e pazzi, luci e musiche di
gran qualità. (M.C.)
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