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Numero 3 del 2009

Una festa nella crisi: lotta marzo


Foto: Una festa nella crisi: lotta marzo
PAGINA 44

Testi pagina 44

marzo 2009 noidonne44
Sono state le prime ad essere massa-crate e ora sono le ultime a ribellarsi
contro l'uomo bianco, che le umiliò e le
violentò nel corpo e nello spirito. La lun-
ga storia della frontiera americana, dai
primi anni del XVII secolo fino al termi-
ne del XIX, contiene una serie infinita di
rapimenti, stupri, torture e uccisioni
commessi sulle donne pellerossa rapite
dai pionieri bianchi durante la conqui-
sta del suolo americano. Le prede prefe-
rite per questi colonizzatori d'oltre ocea-
no erano le giovani e i loro figli, mentre
le anziane e i maschi adulti erano subi-
to eliminati. Il numero di donne indiane
rapite, torturate e vendute come schia-
ve, nel corso dei conflitti coloniali, del-
la guerra d'indipendenza americana e
successivamente durante la guerra civi-
le, ammonta a diverse migliaia. Non si
possono certo dimenticare film come
"L'ultimo Apache" (1954) di Robert Al-
drich, "Apache" (1972) di William A.
Graham o "Soldato Blu" (1971) di
Ralph Nelson, che mostra lo sterminio
compiuto nel 1864 su bambini e donne
Cheyenne nel villaggio di Sand Creek da
parte delle giacche blu.
Oggi, finalmente, le donne indiane di
Nuvola Rossa, Cavallo Pazzo, Osceola,
Geronimo, Toro Seduto ecc. dichiarano
guerra contro le più vistose discrimina-
zioni effettuate nei loro confronti nel
corso dei secoli. Si sono, innanzi tutto,
stancate di essere chiamate squaw, una
parola che fu adottata dai primi cac-
ciatori bianchi, dai coloni, dai mercan-
ti, dai soldati, che le diedero il significa-
to che ancora oggi porta: "fighetta". Va-
lerie ("Cavallo veloce"), un'attivista di
Coeur d'Alene (termine affibiato un
tempo dai commercianti canadesi fran-
cesi alle tribù locali indiane, per la loro
ostilità verso i bianchi trafficanti di pel-
licce e per la fiera resistenza delle loro
donne alle avance degli yankee; oggi è
una contea nello Stato dell'Idaho), af-
ferma che per le tribù dell'Idaho, Mon-
tana e Washington, squaw è un termine
sacrilego, che sta ad indicare l'organo
genitale femminile, ed è così offensivo
che per riferirsi ad esso queste tribù pro-
nunciano solo l'iniziale "s". Neyooxet
Greymorning, professore
di antropologia e studio-
so dei nativi americani
all'Università del Monta-
na, sostiene che "la paro-
la originale voleva dire
'giovane donna', tuttavia
ha assunto nel tempo il
significato imposto dai
coloni bianchi, che lo
usavano per descrivere
una donna inferiore o in-
degna". Anche Ivan God-
dard della New Mexico
University, che ha dedi-
cato la vita a studiare centinaia di lin-
guaggi nativi, spiega che questa parola,
probabilmente originaria tra gli Algon-
quin, nella forma di "ethskeewa", una
volta significava semplicemente ragaz-
za, e non aveva nessun connotato dis-
pregiativo.
La rivolta delle squaw è la battaglia
politica contro l'uso di epiteti razzisti,
come lo sono negroe per gli afro-ameri-
cani, mick per gli irlandesi, spic per gli
ispanici, raghead o camel fucker, testa
di stracci o amatore di cammelli per gli
arabi, greaseball, palla di brillantina
unta per gli italiani. Guidate dalle atti-
viste di Coeur d'Alene, molte tribù in-
diane hanno chiesto di cancellare que-
sta parola denigratoria,
fardello di una lunga sto-
ria di sofferenze inflitte
dai settler alle "selvag-
ge", ed immortalata in
valli, picchi e terre: dalla
celebre Squaw Valley nel-
lo Utah, alla Big Squaw
nel Maine, al Picco della
Squaw in Arizona, al
Torrente della Squaw nel
Missouri, ai Giardini del-
la Squaw in Oregon, al
Campo da Golf della
Squaw in Texas. Circa
940 siti, tra città, chiese, ponti, strade,
scuole e formazioni naturali hanno an-
cora nel loro identificativo questo termi-
ne. Ruby Bernal, che rappresenta gli
Shoshone, ha dichiarato: "Mantenere
l'uso di quel nome, che ci offende e che
tutti sappiamo benissimo a cosa allude,
dopo aver bandito altri appellativi co-
me nigger o jap o gooks riferiti a neri ed
asiatici, significherebbe soltanto ricon-
fermare la storia e la condizione d'infe-
riorità e d'oppressione di tutti i nativi".
Lo Stato del Maine ha approvato una
legge per rimuovere dai posti pubblici la
parola, impegnandosi a cambiare anche
una serie di toponimi, come Squaw
Mountain e Squaw Point. "Questa é
un'importante battaglia per tutti. Per
400 anni le nostre donne sono state of-
fese ogni volta che i bianchi le chiama-
vano cosi…", ha sostenuto Donald Soc-
tomah, l'indiano Passamaquoddy che
ha presentato la legge.
Nel gennaio 2008, l'attuale presiden-
te americano Barack Obama, allora se-
L’altra America
“Non chiamatemi più squaw”
Cristina Carpinelli
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