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Numero 4 del 2012

Obiettori. Di coscienza?


Foto: Obiettori. Di coscienza?
PAGINA 44

Testi pagina 44

ATUTTO SCHERMO

GRANDE
MERYL

di Elisabetta Colla

TERZO OSCAR A MERYL STREEP
PER LA STRAORDINARIA
INTERPRETAZIONE

DELLA THATCHER NEL FILM
"THE IRON LADY"

Ci sono attrici che non temono il passare del

tempo ed il cui talento sembra sfidare la perfe-

zione nel corso degli anni: una fra tutte è senza

dubbio Meryl Streep, simbolo di una recitazione

raffinata ed impegnata al tempo stesso, che ci ha

regalato tante magnifiche interpretazioni di per—
sonaggi femminili, fin dagli anni Settanta, quando si rivelò
al grande pubblico con film quali Il Cacciatore, (1978), di
Michael Cimino, con Robert De Niro, e Kramer contro
Kramer (1979), con Dustin Hoffmann, che gli valse il
primo Oscar come attrice non protagonista. Esile, bionda,
apparentemente distaccata, la Streep, il cui vero nome è
Mary Louise, classe 1949, di origini olandesi, svizzere e ir-
landesi, laureata in Arte drammatica, sembra incarnare da
sempre l’antidiva per eccellenza, semplice, misurata ed in—
tensa, calata pienamente nei ruoli impersonati, spesso
drammatici: donne forti, capaci di grandi sentimenti che
covano sotto la cenere, resi mirabilmente vividi dalla
Streep attraverso lo sguardo etereo e sfuggente, la sfuma-
tura mimica del volto, del gesto, la strozzatura della voce,
il sorriso enigmatico. Indimenticabile interprete, per citare
solo i titoli più noti, in La scelta di Sophie, (1982), di Alan
Pakula (che gli vale il secondo Oscar, questa volta come
attrice protagonista), La Donna del tenente francese
(1981), con cui vince un BAFT A al fianco di Jeremy Irons,
Silkwood (1983) di Mike Nichols (altra candidatura al-
l’Oscar), La mia Africa (1985) diretto da Sidney Pollack
con Robert Redford, Un grido nella notte (1988), Palma
d’Oro a Cannes per la miglior interpretazione femminile,

noidonne | aprile | 2012





A

La casa degli Spiriti (1993), dal romanzo di Isabel Allende,
I Ponti di Madison C0unty(1995), per la regia di Clint Ea-
stwood, Meryl Streep inizia a virare verso la commedia tra
la fine degli anni Ottanta e i Novanta, con pellicole come
She-Devil (1989), La morte ti fa
bella (1992) e, negli anni Duemila,
Il diavolo veste Prada e Mamma
Mal, sempre continuando a fre-
quentare registi del calibro di Al-
tman, in Radio America (2006) e
di Redford, in Leoni per agnelli
(2007). Dopo tanti successi di
pubblico e critica, 26 nomination
e 8 vittorie nei premi cinemato-
grafici più importanti, la Streep ha
vinto di recente il suo terzo Oscar
con l’ultima, straordinaria inter-
pretazione di Margaret Thatcher nella pellicola The Iron
Lady, diretta da Phyllida Lloyd (la regista di Mamma
Mal). Il film, raccontando una Thatcher ormai ottantenne,
affetta da una galoppante demenza senile, che la induce a
dialogare col marito già morto (l’attore Jim Broadbent) e
ad avere consistenti vuoti di memoria (peraltro ispirati a
concretezza biografica), utilizza l’alternanza di sogno-re-
altà, passato—presente, per evidenziare ricordi politici e
della carriera dell’ex-Primo Ministro britannico, dai diffi-
cili inizi con il Partito Conservatore (unica donna al Parla-
mento nel suo tempo), alle monolitiche decisioni che la
resero invisa a molti, nel suo stesso Partito, alla vita privata
quasi completamente sacrificata in nome della Ragion di
Stato. Se il film, come scelta di campo secondo alcuni opi—
nabile, utilizza l’ escamotage della perdita di memoria della
Thatcher, partendo dalla sfera privata e dagli stati confu-
sionali della statista, più per descriverne il percorso bio—
grafico che per prendere posizione e dare giudizi politici
sul suo operato (pur soffermandosi su alcuni ben noti epi-
sodi che la fecero odiare dall’opinione pubblica mondiale
ma comunque rieleggere in Gran Bretagna), di certo riesce
pienamente nell’intento di consacrare Meryl Streep al li-
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