Numero 4 del 2015
Cibo nemico - anoressia bulimia
Testi pagina 43
41Aprile-Maggio 2015
“Le donne hanno bisogno di più tempo per esprimere il proprio pensiero, credo che per cultura preferiscano meditare su quello che dicono e usare con maggiore consapevolezza le
parole”, così Mariangela Barbanente, co-regista del documentario ‘In
viaggio con Cecilia’, interpreta lo schermirsi di alcune ragazze brindisine
dinanzi alla telecamera quando Cecilia le intervista a bruciapelo.
Il cammino delle due documentariste si snoda in modo imprevisto
rispetto all’itinerario inizialmente programmato: nell’estate del
2012 l’urgenza degli eventi chiama le due registe Cecilia Mangini e
Mariangela Barbanente, entrambe di origine pugliese, a fare tappa
prima a Taranto poi a brindisi, rimbalzando fra i due poli industriali
per osservarne la diversa sorte. L’orizzonte è solcato dalle ciminiere,
ha così inizio un “viaggio di ritorno” che
le porterà “dinanzi” alla camera per
riflettere sulle trasformazioni della loro
terra, per ascoltarne voci di ieri e di
oggi, lamenti e perfino inerti silenzi.
quella “inerzia” che Cecilia
Mangini denuncia con disdegno
nel documentario; una condizione
su cui si confronta con Mariangela
barbanente, compagna di “road
riprese”, che a lei controbatte: “A cosa
è servito manifestare, imbrattare i
muri, protestare?” Eppure continuare
a denunciare con le parole e con la
macchina da presa è un modo per
resistere proprio a quel senso di
impotenza, soprattutto in un paese
afflitto dalla prescrizione dove vige una memoria a tempo.
Una piaga sanguinante osservata con disincanto dalla giovane regista
pugliese: “La vicenda del petrolchimico è stata archiviata prima
ancora di finire nelle aule di un tribunale. Una ferita per la città di
brindisi che la rende più fragile, più esposta, più ripiegata su se
stessa. Ecco perché Taranto, in quella magnifica estate del 2012, è
stata così reattiva e vivace: perché il fatto che dei giudici avessero
riconosciuto il torto a loro fatto ha infuso nuova fiducia. Due anni
dopo quella fiducia è stata sperperata facendo ripiombare la città
nella disperazione e nel disincanto.”
Nelle stanze del potere ancora si discute dalla sorte di uno stabilimento,
che lascia in bilico la cittadinanza nella falsa alternativa tra lavoro e
ambiente, tra salute e sussistenza; perciò diventa stringente puntare lo
sguardo e le camere sull’umanità che respira quei fumi.
Maria Alessandra Soleti
IN VIAGGIO CON CECILIA
TORNARE IN pUGLIA pER DOCUMENTARE
IL pOST-INDUSTRIALE
‘costi’ e ‘tagli’. Quasi che il grande contributo di
entusiasmo, energia, professionalità che noi giovani
possiamo dare, tornando a riempire i teatri, non possa
tradursi in ritorno economico. Ci date una possibilità? Vi
ricordate che ci siamo? La musica classica non è una
sconosciuta, per nessuno.
Si vuole fare credere che è un genere di nicchia, ma non è
così. Certo, va divulgata. Può essere accessibile a tutti. Deve
diventare accessibile a tutti, magari portandola nelle piazze
e nelle chiese. Tutti i cittadini hanno il diritto di usufruirne e
tutti i giovani artisti di praticarla.
Io ho 28 anni e non vorrei andarmene da questo Paese,
che è il mio. Sarebbe un fallimento.
Ma a che prezzo devo rimanere fedele a questa ‘etica’? Non
ci sono audizioni, le grandi orchestre sono in crisi, non ci
sono etichette di musica classica.
Si mercanteggia il business con la cultura.
Che futuro c’è? Anzi, c’è un futuro?
Io studio 5 ore al giorno, con pazienza e costanza, come me
tutti i colleghi. Ma intravedere il traguardo è di una difficoltà
immensa perché in realtà non c’è.
E non ne faccio una questione di genere, che sarebbe fin
troppo facile, perché su questo fronte le penalizzazioni sono
per tutti e sono semmai anagrafiche.
E tralascio, per evitare la ridondanza - le istanze vere, in
questo Paese, vengono registrate come retorica - il discorso,
completamente assente, della meritocrazia, che pare un
‘vezzo’ seppure anche il Governo di cui lei fa parte lo abbia
posto tra i suoi obiettivi .
Oggi un artista, a meno che non pratici la musica leggera o
abbia risorse economiche di diversa provenienza, non può
vivere della propria arte.
E intanto, grazie a una produzione spropositata di talent,
si consolida l’inganno sul concetto di talento, che non
presuppone neppure più lo studio, se non parziale.
Io, però, a 28 anni sono stanca, sono esausta. Non voglio
l’asciare l’Italia, non voglio andare in usufrutto ad altri Paesi,
come la Francia, per fare un esempio, dove ci sono maggiori
canali di realizzazione.
Parlate tanto dei benefici che porterà il Jobs Act, e se così
sarà non posso che esserne contenta, per i miei coetanei
soprattutto.
Ma anche la cultura è lavoro. Desiderare di praticare
la propria arte, per cui si è investito tempo e denaro e
sacrificio, non è un vezzo. L’artista, non è un mestiere di
serie b.
L’arte, anche lei lo ha detto tante volte, è qualcosa che
nobilita l’uomo e la società in cui vive.
Se anche noi giovani cediamo, se finiamo la benzina
dell’entusiasmo, se andiamo altrove, cosa rimarrà della
nostra identità? Dell’identità del nostro Paese?
Palermo, 5 marzo 2015
Marianna Musotto
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