Numero 2 del 2009
Se 60 anni vi sembran pochi provate voi a lavorar...
Testi pagina 42
febbraio 2009 noidonne42
Cara Bruna,
ho avuto la prova più dura che la vi-
ta può riservare ad una mamma, ed è
veramente difficile mettere a posto i
pezzi. Ho disegnato, senza volerlo, il
cipresso cresciuto nel giardino della
villetta di mio figlio, che ormai, già da
un anno non è più tra noi in questa di-
mensione. Che mi racconta questo al-
bero?
Gabi
Cara Gabi,
tra le righe della tua sensibile presen-
tazione alcune delle parole scritte sono
già di conforto a chi, come te, ha cono-
sciuto ciò che una mamma non dovreb-
be mai provare. Scrive R. Steiner: "L'uo-
mo porta con sé un nucleo essenziale
animico, che appartiene a un mondo
spirituale. Questo è l'elemento duraturo
dell'uomo…". Continua sostenendo che
dopo la morte fisica quel nucleo fa le
sue esperienze in un mondo puramente
spirituale per poi vivere in una nuova
vita. La tua affermazione relativa a
"questa dimensione" sollecita tante ri-
flessioni a riguardo. Secondo la fisica
quantistica noi conosciamo soltanto il
5% della realtà visibile. Sa-
rebbe veramente difficile
parlare della realtà sovra-
sensibile, ma con il tuo albe-
ro tenti di farlo, perché il ci-
presso ricorda qualcosa di
sacro e di raccolto, di mae-
stoso e umile allo stesso tem-
po. Il tuo cipresso è un rifu-
gio alle difficoltà legate alla
malinconia del ricordo stes-
so, ma il suo simbolo, che
svetta verso il cielo, è anche
legato alla spiritualità.
Chi disegna cipressi è
una persona riservata, un
po' schiva e meditativa, sul-
la quale poter contare per li-
nearità e affidabilità. Anti-
camente il cipresso veniva
attribuito a Plutone, dio dell'eternità, e
gli stessi sacerdoti del dio Plutone ama-
vano adornarsi di ramoscelli di cipres-
so.
Il tratto rivela una grande sensibili-
tà, tipica di una persona che mette il
cuore prima di ogni altra cosa. Per te i
sentimenti sono al primo posto!
L'albero è come sospeso
verso il cielo, ma la sua
posizione è ben centrata,
tendente ovviamente, ver-
so la zona del passato.
Una nuova parte di te de-
ve ancora mettere le sue
radici nella terra. Il tronco
è come sostenuto dai tratti
marcati del confine, quasi
a voler ricordare la neces-
sità di ricevere tale soste-
gno. Il tronco è oscurato
dal tratteggio, così come
la chioma. Non è ancora
un tratteggio nero, ma ten-
de a diventarlo. Kandinsky
dice: "Il bianco è un muro
infinito ed il nero un foro
infinito". Il grande pittore
intende arrivare al significato eterno del
colore nero, che in questo caso, è qual-
cosa che sta lasciando lo spazio al gior-
no, qualcosa che non è ancora nato, ma
che sta per risvegliarsi. È un silenzio che
mostra già un futuro, qualcosa che si ri-
sveglia dall'inconscio attraverso il chia-
rore della coscienza.
Leggere l’albero
Tracce
Bruna Baldassarre
disegna il 'tuo albero', parla di te
Nei giorni scorsi il reparto di Ostetricia e Ginecologia dell'Arcispedale locale assomigliava più ad una
sala di attesa di un consolato che a una divisione clinica di un nosocomio di provincia. Nazionalità tut-
te diverse. Addirittura plurime: neonati albanesi, marocchini, rumeni e cinesi. E' la grande sfida dei no-
stri tempi ma se sia una buona o una cattiva notizia dipenderà da molti fattori, tra cui la responsabi-
lità della società che li andrà ad accogliere. Mettere al mondo dei figli oggi è un segno di radicamento
nella vita che insegna qualcosa a noi donne autoctone spesso dilaniate dal desiderio ma anche della
quella strana incertezza che avviluppa ogni forma di spontanea decisione. E se essere madri comporta la consapevolezza di generare
la vita e non può limitarsi a un puro fatto biologico o a un dettato borghese che s'ha da fare: per avere figli sereni ed equilibrati oc-
corre desiderarli, averne cura, seguirli e lasciarli andare al momento opportuno. Eppure la maternità è ancora oggi lasciata o alla re-
torica dei buoni sentimenti o alla libera decisione di darsi un'identità forte come donna e come moglie. Trovo che ancora poco si pen-
si a un puro atto d'amore gratuito ed oblativo. Non perché non se ne abbiano i mezzi. Ma perché il posto di lavoro, l'economia fami-
liare, l'infelicità o l'ambivalenza coniugale depositano su questo sacrosanta fonte di gioia ancestrale una cortina di paure, ostilità e fa-
tiche. Spesso mal tollerate. Per esperienza so che dopo una certa età le puerpere più sincere ammettono di esserne stravolte: scon-
volti i ritmi di vita, rovesciati i progetti del futuro. Epperò ci sarà un modo per conciliare l'esperienza più esaltante del mondo con un
minimo di libertà personale, il recupero della propria femminilità, la possibilità di conciliarla con un'attività che non sia defenestran-
te. Insomma che sia un atto di generosa fiducia nel futuro e non come spesso accade una compensazione di un vuoto personale, af-
fettivo od esistenziale. Altrimenti questi piccoli crescono già ingessati da un sacco di insicurezza e di frustrazioni emotive. Figurate-
vi poi quando a scuola frequentando i loro coetanei immigrato fierissimi di essere al mondo si confrontano con una vitalità primige-
nia perché del tutto semplice e naturale.
Vogliamo lasciare il baby boom allo straniero?