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Numero 11 del 2008

L'inverno dei diritti


Foto: L'inverno dei diritti
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Testi pagina 41

noidonne novembre 2008 41
che una società totalmente giusta sia
auspicabile". Una trasformazione an-
tropologica così com'è stata sognata da
Kant e dallo stesso Marx parte dall'idea
che ci sarà un tempo in cui ogni singola
persona diventerà assolutamente buona
e giusta e, dimenticando il limite della
sua natura, finirà con l'assomigliare a
Cristo. La Heller dubita che ciò possa es-
sere una prospettiva vivibile e desidera-
bile: "Se in tutta la storia del genere
umano l'essenza umana è rimasta così
com'è, perché dovrebbe improvvisamen-
te cambiare durante la nostra particola-
re contingenza storica? Qual è il nostro
privilegio? Chi e come ce lo avrebbe
concesso? Sono domande che dobbiamo
porci".
Per la filosofa qualunque politica re-
dentiva è incompatibile con la condi-
zione postmoderna. Ciò non significa
accettare l'esistente come inalterabile.
C'è spazio per creare quella che la Hel-
ler definisce "un'utopia razionale", a
patto però di accettare la modernità:
"Non penso affatto che l'esistente sia in-
dispensabile così com'è, ma riconosco
che alcune cose sono necessarie: il libe-
ro mercato, la libertà di creare istituzio-
ni politiche e l'accumulo di conoscenza
scientifica e tecnologica". Nessuno di
questi tre elementi può essere omesso
perché una società sia effettivamente
moderna. Questa società deve, inoltre,
poggiare su una democrazia di tipo rap-
presentativo (questo è un punto di dis-
continuità con il pensiero della Arendt,
a cui la Heller fa spesso riferimento, da-
to che la filosofa tedesca predilige, inve-
ce, una democrazia di tipo diretto). Al-
l'interno di questo orizzonte sono anco-
ra possibili rivoluzioni e transizioni: le
rivoluzioni politiche sono frutto della
stessa modernità, che ha inventato sem-
pre nuove forme politiche. Dunque, si
può ancora agire, ma l'impossibile ri-
mane impossibile. L'Olocausto e il regi-
me totalitario sono eventi che hanno in-
fluenzato la sua ricerca filosofica. Affer-
ma la filosofa: "Negli anni '40, in Un-
gheria, sono passata dall'Olocausto ad
un regime totalitario. La mia ricerca da
quel momento è stata dedicata a com-
prendere quegli eventi dal punto di vista
morale. Il totalitarismo sono riuscita a
capirlo, l'Olocausto no. Come un essere
umano possa fare qualcosa del genere
ai suoi simili, rimane per me un mistero.
La mia ricerca è sempre stata in due di-
rezioni. Quella morale, o antropologica,
per capire la radice del bene e del male,
e quella sociale, o storica, che si chiede:
che tipo di mondo è quello in cui si pos-
sono sviluppare un regime totalitario, o
una forma sistematica di annientamen-
to di altri esseri umani? La mia risposta
è che questi due fenomeni non sono
emersi da alcuna necessità storica. En-
trambi sono in parte il risultato del 'pec-
cato originale' della prima guerra mon-
diale, anche se non ne conseguono ne-
cessariamente. Ho, però, concluso che il
totalitarismo è una forma di governo
moderna, è un fenomeno della moderni-
tà". Scrive nel 1995 Agnes Heller: "Si
può scrivere una storia del totalitarismo
nazista ma non una storia dell'Olocau-
sto. Il totalitarismo è emerso dalla mo-
dernità e Auschwitz ne è stata la meta-
fora sopra-storica…L'Olocausto è l'in-
sensatezza assoluta che non può essere
integrata nella storia". Si sente qui l'in-
flusso del pensiero politico arendtiano.
Nel celebre libro di Hannah Arendt "Le
origini del totalitarismo" (1951), sono,
infatti, contestate le teorie liberali che
tendono a vedere nei sistemi totalitari il
riaffiorare di inclinazioni arcaiche di
natura fondamentalmente irrazionale.
Al contrario, viene mostrato come l'es-
senza di questi sistemi possa essere col-
ta solo attraverso un'analisi critica del-
la genealogia della modernità. Ella, infi-
ne, non coglie, alcuna differenza fra to-
talitarismi secolari e religiosi. Entrambi,
sostiene, sono il risultato di una fonda-
mentale perdita di credo. Di quella che
Sartre chiama "caduta nella libertà, ov-
vero nel nulla". Ed entrambi sono una
reazione patologica alla modernità.
una riflessione segnata dalla profonda diffidenza verso
ogni forma di assunto dogmatico, un'utopia razionale che
vuole aprirsi al futuro e accettare la modernità
Breve profilo di Agnes Heller
Filosofa ebrea ungherese, nata nel
1929, Agnes Heller è uno dei più au-
torevoli interpreti della complessità fi-
losofica e storica della modernità.
Sfuggita adolescente alle deportazioni
naziste, diviene allieva del filosofo
György Lukács, e ne condivide i tor-
mentati rapporti con il partito comu-
nista successivi alla rivolta del '56.
Durante il regime di Kádár, la Heller
viene progressivamente privata della
possibilità d'insegnare, di viaggiare al-
l'estero e di pubblicare i suoi libri. Le
vicende della "Scuola di Budapest"
(composta anche, tra gli altri, da Mi-
hály Vajda e György Márkus) vengono
rese note all'opinione pubblica occi-
dentale dalla lettera di Lukács al "Ti-
mes Literary Supplement" del 1973.
Nel '77 la Heller lascia l'Ungheria per
l'Australia, e quindi per New York, do-
ve ricopre tutt'ora la cattedra di filo-
sofia, intitolata ad Hannah Arendt,
presso la New School for Social Re-
search. A seguito della caduta del Mu-
ro, la Heller ha fatto ritorno in Unghe-
ria, pur non rinunciando al suo inse-
gnamento in America.
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