Numero 2 del 2009
Se 60 anni vi sembran pochi provate voi a lavorar...
Testi pagina 40
febbraio 2009 noidonne40
Non è stato facile per la giovane regi-sta Laura Muscardin, nonostante la
laurea in storia moderna, gli studi in
produzione e regia presso la University
of Southern California ed il titolo di Sta-
ge manager alla Nebreuko Theater
Company di Brooklyn (New
York), inserirsi a pieno titolo nel
mondo del cinema: ci sono vo-
luti anni di lavoro duro, un'in-
crollabile forza di volontà e
tanta, tanta passione. I suoi ge-
nitori, infatti, entrambi medici,
avevano ipotizzato per la figlia
tutt'altra strada, ma lei ha pre-
ferito seguire la propria voca-
zione e non se ne è affatto pen-
tita. Incontriamo Laura in occa-
sione del Festival Internazionale
Terranova, presso il Centre Cul-
turel Saint Louis de France, nel-
la serata di consegna del Pre-
mio "Iceberg News Immagini", riconosci-
mento legato al suo ultimo film "Billo, il
Gran Dakhar", una riuscita commedia
sull'integrazione degli stranieri in Italia.
Come è iniziata la tua attività di re-
gista e come hai deciso di fare que-
sto lavoro?
Mentre frequentavo l'Università, ho
cominciato con la classica gavetta: por-
tavo i caffè sul set, anche se avevo già
lavorato in teatro negli Stati Uniti, pae-
se dove successivamente ho frequentato
una scuola di regia. Ero appassionata di
cinema ma, come figlia di medici, non
avevo la strada spianata. Per dieci anni
ho fatto tutto quello che mi capitava,
aiuto alla regia, regia, produzione per
cinema, pubblicità, film TV. Ho conqui-
stato l'assistentato, poi ho cominciato a
realizzare documentari miei, per alcuni
anni, insieme al mio socio di allora,
Giovanni Piperno, formando una picco-
la società indipendente di documentari
e video, la Gold Mist, in un periodo in
cui non era facile far accettare il genere,
oggi già più diffuso. Siamo stati in giro
per il mondo, ad esempio in Sudafrica,
producendo e rivendendo i nostri docu-
mentari. Nel '95 abbiamo realizzato un
documentario sul cinema di Bollywood
- non ancora conosciuto come oggi - che
è stato selezionato al Festival di Vene-
zia. Ho girato anche diversi cortome-
traggi: in Francia ho scritto e diretto un
corto intitolato "Il cuore", che ha vinto
molti premi e mi portato molta fortuna.
Dopo averlo visto, infatti, alcuni sce-
neggiatori vincitori del Premio Solinas
mi hanno cercata per realizzare un film
da una sceneggiatura molto difficile in-
titolata "Giorni" (sulla relazione fra due
uomini malati di AIDS) della quale tut-
ti avevano paura e forse per questo han-
no pensato di proporlo ad una regista
donna! Dopo aver lavorato un po' sulla
sceneggiatura, siamo "partiti" ed ho gi-
rato il mio primo lungometraggio. In-
tanto continuavo a realizzare documen-
tari perchè in quel periodo la Fandango
di Domenico Procacci aveva una fac-
tory di documentari, alla quale parteci-
pavano colleghi come Pannone, Garro-
ne, Piperno. Infine mi hanno proposto di
girare 'Billo, le Grand Dakhar', un film
che sono stata felicissima di realizzare
anche se in quel momento avevo altri
progetti, come spesso accade.
Puoi raccontarci qualcosa del film?
Come si realizza una commedia sul-
l'integrazione?
E' un film molto particolare, prodotto
con un contratto, diciamo così, ideali-
stico. Il progetto si chiama The Copro-
ducers: tutti coloro che lavorano al film
sono comproprietari dei diritti sulla sce-
neggiatura, una specie di collettivo
ideale, di Utopia alla Tommaso Moro.
Quando ha saputo questo, Youssou
N'Dour, l'artista senegalese al quale
avevamo chiesto il favore di scrivere
una canzone per la colonna sonora, ha
deciso di coprodurre il film. Così, anche
se ci è voluto un anno per farlo ricono-
scere come film, date le modalità di
produzione, oggi abbiamo un'opera in
cui gli africani hanno messo dei soldi
propri, in cui Youssou N'Dour ha pro-
dotto e realizzato tutta la musica e che,
nonostante le difficoltà, riveste per noi
un notevole valore sperimentale, mo-
strandoci come fare un film in
modo diverso. Ho scelto una
commedia per offrire una vi-
sione positiva del problema: è
la storia di un ragazzo sene-
galese, Billo, che arriva in Ita-
lia e riesce pian piano ad inte-
grarsi, si fidanza con una ra-
gazza italiana (con annessi
problemi familiari) ma ha una
promessa sposa in Africa.
Grazie allo status acquisito
venendo in Italia, ora potreb-
be sposare quella ragazza -
ricca nel suo paese - perché le
è socialmente equiparato: cer-
ca quindi una soluzione che leghi insie-
me i due mondi che, ormai, gli appar-
tengono entrambi. Come regista donna
mi sono un po' preoccupata di raccon-
tare un uomo musulmano che sposa due
donne, sembrava quasi che giustificassi
questa situazione, soprattutto quando
ho presentato il film ai ragazzi delle
scuole, pensavo di ferire i sentimenti di
molte ragazzine del liceo: descrivere
una donna che accetta di sposare un
uomo che ha un'altra moglie in un'altra
parte del mondo….è contro quello che
vorrei per me stessa…ma loro, in realtà,
non si sono sorpresi più di tanto e que-
sto mi ha fatto molto pensare. Ho cerca-
to di non dare giudizi nel film ma di far
capire che alcune cose possono accade-
re, ho voluto raccontare situazioni di
donne che, pur non rispecchiando la
mia, esistono e vivono conflitti interiori
forti. La ragazza italiana dapprima dice
no, ma poi sceglie di comprendere una
realtà che non conosce, dalla quale vie-
ne il suo uomo e cerca di studiarne la
cultura, ed essendo il mio film una com-
media, si creano delle situazioni buffe
ed ironiche.
Cosa comporta essere una donna-re-
gista?
Avendo avuto una madre medico,
non sentivo la parità come un proble-
ma, la davo per scontata: in più spesso
ho lavorato all'estero, dove c'è un gran-
Intervista a Laura Muscardin
Stranieri e integrazione: come sorridere
dei propri problemi Elisabetta Colla